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Buone pratiche per il clima in agricoltura

Le soluzioni individuate da un nuovo studio italiano sono applicate a una situazione reale

Un nuovo studio italiano (“A land-based approach for climate change mitigation in the livestock sector” di Maria Vincenza Chiriacò e Riccardo Valentini) appena pubblicato sul numero 283 della rivista “Cleaner production” riporta l’attenzione sul ruolo che può essere svolto dal settore dell’agricoltura e dell’allevamento nel mitigare il cambiamento climatico.

Dell’impatto delle pratiche agricole sul clima avevamo già discusso qui in due approfondimenti: Cambiamento climatico: il ruolo dell’agricoltura e dell’allevamento parte 1 e parte 2. In questi articoli era stato evidenziato come il settore primario sia responsabile di una quota molto importante delle emissioni climalteranti globali – il 24% – ma che lo stesso, attraverso l’adozione di buone pratiche può potenzialmente trasformarsi da problema a parte della soluzione. La diminuzione dell’impronta ambientale delle attività agricole si attua attraverso due strade: la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (biossido di carbonio, metano, protossido di azoto) e l’aumento della capacità di immagazzinare il carbonio da parte dei suoli e della biomassa vegetale. Entrambi questi approcci, ma soprattutto il secondo, sono accompagnati da effetti collaterali positivi: ne beneficiano, ad esempio, la fertilità naturale del terreno e la biodiversità.    

Fonte Pixabay

Passiamo in rassegna brevemente le soluzioni individuate dallo studio, il quale (è questa la sua parte più innovativa) illustra quali possano essere gli effetti derivanti dalla loro applicazione ad una situazione reale individuata in un’area agricola della provincia di Viterbo comprendente due fattorie con relativi allevamenti. 

Miglioramento della dieta dei ruminanti: per capire l’importanza di questo punto occorre ricordare che la fermentazione enterica nei ruminanti (con rilascio di metano) insieme alla gestione del letame degli allevamenti rappresentano la fonte principale di gas climalteranti (GHG, Green House Gases) derivanti dal settore dell’allevamento. La soluzione individuata, sulla base di numerosi studi, è una modifica della dieta dei ruminanti che dovrebbe incorporare un 3% di lipidi. Questo accorgimento potrebbe ridurre la quota di emissioni di GHG mediamente del 24%.

Produzione di biogas: la decomposizione degli escrementi del bestiame produce alti livelli di emissioni di GHG. Se la decomposizione avviene in un ambiente controllato e in assenza di ossigeno il prodotto finale è quasi esclusivamente metano (CH4) che, previa depurazione, può essere immesso nella rete o consumato localmente. Il vantaggio in questo caso è duplice: si evita la dispersione in atmosfera di GHG e si trasforma un rifiuto in una fonte energetica. A questo proposito ricordiamo che il nostro paese è oggi (fonte: Legambiente, 2019) il secondo produttore europeo di biogas. Inoltre l’Italia ha un potenziale produttivo di biometano stimato al 2030 in 10 miliardi di metri cubi, pari a circa il 10% del fabbisogno annuo di gas naturale. 

Utilizzo sostenibile dei fertilizzanti azotati sintetici: le raccomandazioni per un agricoltura più sostenibile puntano ad una generale diminuzione dell’uso dei fertilizzanti sintetici, con particolare riferimento a quelli che contengono azoto.

Per un approfondimento sull’importante tema dell’azoto, anche con riferimento all’agricoltura e alle emissioni climalteranti di protossido di azoto, si veda: Azoto nell’atmosfera e nei suoli: le conseguenze su ecosistemi e clima.

La letteratura scientifica indica che in generale è possibile ridurre l’utilizzo dei fertilizzanti azotati a parità di resa quantitativa e qualitativa: sulla base di tali studi il lavoro italiano suggerisce quindi una diminuzione del 15%.

Gestione sostenibile dei suoli: questo capitolo fa riferimento a quelle pratiche atte a preservare la fertilità naturale dei terreni, a limitarne l’erosione, ad accrescerne la capacità di ritenzione dell’acqua e del carbonio, a tutto vantaggio della salute dell’ecosistema. Le relative pratiche consistono nell’aratura leggera (minimum tillage) o addirittura nella rinuncia all’aratura (no-tillage). In entrambi i casi l’obiettivo è quello di disturbare il meno possibile il suolo profondo e di non esporre il carbonio organico presente nel terreno all’ossidazione atmosferica.

Mantenimento della copertura erbosa nei frutteti: questa pratica, che non richiede spiegazioni, ha come obiettivo ottenere tutti quei vantaggi che sono stati esposti nel punto precedente. Il mantenimento della copertura erbosa, infatti, si propone come alternativa all’aratura e, naturalmente, all’uso dei diserbanti. 

Gestione sostenibile dei residui agricoli: questi sono costituiti soprattutto dai resti delle potature annuali delle piante da frutto. La pratica che va assolutamente evitata è quella della bruciatura sul campo: in alternativa vengono proposti lo spargimento sul terreno (previa sminuzzatura) e l’utilizzo del legno come fonte energetica. In questo ultimo caso, naturalmente, il vantaggio ambientale si ottiene grazie al fatto che il legno viene bruciato in alternativa ad un combustibile fossile.

Utilizzo di piante perenni al posto delle annuali: la trasformazione di una parte dell’appezzamento da coltivazioni annuali (che vanno seminate e raccolte ogni anno) a colture perenni (ad esempio un frutteto) determina un trasferimento netto del carbonio dall’atmosfera nella biomassa legnosa; si osserva inoltre una maggiore immobilizzazione del carbonio nel suolo. 

Riforestazione ad afforestazione: la riforestazione consiste nel ripristino della copertura boschiva in aree di recente disboscamento; con il termine afforestazione  si intende invece la creazione di un bosco su terreni che da molto tempo sono dedicati all’agricoltura. In entrambi i casi lo scopo è immagazzinare carbonio sottraendolo all’atmosfera. La creazione di nuovi boschi all’interno di un’azienda agricola, naturalmente, verrà promossa soprattutto nelle sue aree più marginali, quelle abbandonate, sottoutilizzate o comunque meno adatte alla coltivazione.

Un orto urbano: la ricerca della sostenibilità dovrebbe essere perseguita anche dai tanti appassionati di orti e giardini. Foto di Lorenzo Danieli

Le buone pratica appena elencate sono state messe alla prova applicandole virtualmente ad una realtà rurale italiana, costituita da due fattorie (con relativi allevamenti) nella provincia di Viterbo. I calcoli, che si sono avvalsi dei dati reali, ma anche, ovviamente, di stime e di ipotesi, mostrano una prospettiva incoraggiante riguardo alla possibilità concreta di trasformare il settore agricolo da problema ambientale a parte della sua soluzione. Più nel dettaglio le conclusioni indicano che nella zona studiata “a fronte di emissioni totali di GHG di 3932 tonnellate di CO2 equivalente all’anno, vi è un potenziale di mitigazione raggiungibile nella  medesima area stimabile fra 3925 e 5090 tonnellate di CO2 equivalente all’anno.”  Detto in altre parole, in quelle fattorie l’attività agricola non solo potrebbe diventare neutra sotto il profilo dell’impatto climatico, ma potrebbe addirittura trasformarsi in assorbitore (net carbon sink) di gas climalteranti. 

Lo studio dunque ha prodotto un risultato importante e, lo ribadiamo, assai incoraggiante, ma che, come avvertono gli stessi autori, non deve essere sopravvalutato. E’ infatti un risultato teorico ottenuto nell’ipotesi che siano state implementate al meglio tutte le buone pratiche suggerite, una condizione che nel mondo reale potrà verificarsi difficilmente per tutta una serie di motivi che non è difficile immaginare: motivi economici, aspetti logistici, ostacoli culturali, tecnici o legislativi, difficoltà legate alle caratteristiche peculiari dei singoli territori.  

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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