Ritratte. Donne di arte e di scienza
La fotografia di Gerald Bruneau restituisce storie di biografie vive, il cui potere ispirante è inestimabile
Ogni anno il World Economic Forum pubblica un rapporto sul Global Gender Gap Index, un indice composito che misura i divari di genere. La misurazione avviene per 146 Paesi e l’indice va a considerare la partecipazione economica e politica, la salute e il livello di istruzione.
Il Report dello scorso anno segna l’Italia in 63esima posizione su 146, immobile rispetto alla situazione rilevata nel 2021. L’Europa invece mantiene il secondo livello più alto rispetto al resto del mondo, con Islanda, Finlandia e Norvegia che detengono le posizioni più alte all’interno della regione europea. Sempre secondo il Report, all’Europa serviranno ancora 60 anni per colmare il divario mentre, considerato il ritmo di progresso attuale, a livello globale ci vorranno ancora 132 anni per raggiungere la piena parità.
Seppur si registra un lieve miglioramento rispetto al 2021, le analisi statistiche e la cronaca ci raccontano ancora la storia di un presente in cui la donna viene ancora penalizzata, discriminata e lesa per il solo fatto di appartenere al genere femminile o meglio, di non appartenere al genere maschile; ma ci sono anche storie di donne che hanno conquistato posizioni apicali in settori che si sono scelte, fino a quel momento magari prevalentemente ricoperte da soli uomini. Queste storie, anche se ancora una minoranza, devono trovare il giusto spazio e la giusta luce in un’epoca in cui si vuole davvero agire collettivamente per raggiungere un bilanciamento di genere e contrastare gli stereotipi che ancora troppo spesso inibiscono le vocazioni individuali e la crescita sociale.
A Roma, fino al 10 settembre, è possibile visitare la mostra fotografica di Gerald Bruneau, fotografo di fama internazionale da tempo attivo nell’ambito dei diritti civili, dal titolo “Ritratte. Donne di arte e di scienza” ospitata dal Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese. Un percorso fotografico dedicato ai volti e alle carriere di donne italiane che hanno conquistato ruoli di primo piano nell’ambito della scienza e dei beni culturali. Quaranta persone, quaranta donne, quaranta storie per ricordare il valore della determinazione, della forza e della competenza in una realtà ancora permeata da dinamiche e linguaggi che spesso mettono questi valori in secondo piano. La fotografia, con il suo linguaggio universale, restituisce storie di biografie vive, il cui potere ispirante è inestimabile.
La mostra propone due percorsi espositivi distinti, uno dedicato a storie di donne alla guida di primarie istituzioni culturali del nostro Paese e l’altro dedicato ad alcune tra le più importanti scienziate italiane.
I dati sul divario di genere nel settore culturale mostrano come in Europa le donne che si occupano di arte e cultura generalmente hanno meno accesso alle risorse di creazione e produzione, sono retribuite meno degli uomini e sono sottorappresentate nelle funzioni dirigenziali, decisionali e sul mercato dell’arte. Le biografiche delle direttrici dei musei italiani raccontate e raffigurate nella mostra creano una nuova narrazione, dando una alternativa tangibile di un futuro che può non essere solo per poche. Dall’altro, le scienziate e i loro racconti, rafforzano ancor di più l’empowerment e il contrasto agli stereotipi di genere nella pratica scientifica. Come riporta il Massachusetts Institute of Technology la sottorappresentazione delle donne nei campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM) continua a persistere. Nel 2023, il divario di genere nelle STEM rimane significativo, con le donne che globalmente rappresentano solo il 28% della forza lavoro STEM. Se guardiamo ai luoghi in tutto il mondo dove potremmo sperare di trovare notizie migliori, le statistiche aprono ad altre importanti riflessioni: si parla del 24% negli Stati Uniti, 17% nell’Unione Europea, 16% in Giappone e 14% in India.
In questi giorni in cui si commemora la perdita di una delle più grandi intellettuali italiane, la scrittrice e attivista Michela Murgia, ricordiamo uno dei suoi importanti libri: Stai zitta, una lettura che racconta le parole che non vogliamo più sentire, quelle che fanno sparire le donne dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie. Un libro che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo, nato con un’ambizione: che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandolo su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno.
E per far sì che anche le donne in posizioni apicali, in qualsiasi settore, non restino una rarità da esporre in un museo, c’è un movimento necessario che dobbiamo iniziare a compiere anche al di fuori della lente di un grande fotografo: riconoscere le competenze e renderle visibili, a prescindere dal genere di appartenenza.
L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è curata e realizzata dalla Fondazione Bracco in collaborazione con Arthemisia. Servizi museali Zetema Progetto Cultura.