Di montagna, turismo, futuro e sostenibilità. Quattro chiacchiere con Giovanni Montagnani
Vivere amabilmente il territorio puntando alla "decarbonizzazione migliorativa". La storia di Giovanni Ludovico Montagnani e del collettivo Crowdforest
La montagna è la grande vittima nelle cronache giornalistiche di questo inverno, insieme al settore turistico alpino che resta al centro del dibattito politico, con gli impianti sciistici fermi ormai da mesi e senza la consueta affluenza invernale. Servono risposte dal governo, per capire che futuro attende quell’ampio settore che gira intorno all’ecosistema montano. Ma c’è un altro aspetto del futuro di queste zone che non è di certo inedito, ma prende poco spazio nei dibattiti, nonostante la sua centralità: lo stato di salute delle nostre montagne.
Il cambiamento climatico infatti negli ultimi 20 anni ha avuto un forte impatto sull’ambiente alpino, l’innalzamento delle temperature ha provocato la fusione di molti ghiacciai perenni. I ghiacciai italiani sono di fatto dimezzati dal 1850 e alcuni potrebbero scomparire in soli 30 anni. Il cambiamento climatico ha reso le montagne più fragili, negli ultimi anni crolli e fenomeni franosi sono sempre più frequenti esponendo le popolazioni e la biodiversità a rischi e mutamenti.
Per la nostra rubrica ClimAttivisti, abbiamo affrontato questo argomento come punto di partenza per una riflessione più ampia, con Giovanni Ludovico Montagnani, attivista e alpinista, che da anni si cura degli impatti che le azioni umane hanno sul territorio. Di queste riflessioni e studi, ne fa da portavoce con il collettivo di divulgazione Crowdforest, del quale è fondatore.
Giovanni ha 30 anni, è padre di due bambine e di professione fa l’ingegnere elettronico. Si è avvicinato alle tematiche ambientali molto presto, suo padre è un agronomo con alle spalle molte pubblicazioni nell’ambito della fisica dell’atmosfera. La consapevolezza della necessità di passare a delle azioni concrete ha raggiunto la mente di Giovanni quando ancora il dibattito sulle questioni ambientali era molto acerbo.
«Ero in terza liceo e durante l’autogestione tenevo una lezione chiamata “Greenhouse effect tra fantascienza e realtà”. Decisi anche di candidarmi come rappresentate d’Istituto, ma oltre a non vincere l’elezione, venni preso in giro perché la mia idea portante era quella di far installare i pannelli solari per la scuola. E ora la scuola ha i pannelli solari».
Erano gli anni in cui, come ci ricorda anche Giovanni: «c’era ancora un gran numero di negazionisti e il livello del dibattito sull’ambiente non si concentrava ancora sulle azioni da intraprendere, ma era ancora sul provare l’evidenza». Quindi anche durante gli anni universitari si è fatto portavoce di quelle tematiche che a lui erano vicine da sempre o, per dirla con le sue parole, «Non dico da sempre, ma la curva di Keeling io l’ho vista quando era a 350 ppm. Me la ricordo bene». Se la ricorda quella curva che dimostra l’ascesa di una minaccia, ovvero la preoccupante e crescente concentrazione dei gas serra in atmosfera ben oltre quella che era considerata ai tempi una soglia limite (350 ppm, per l’appunto) andando a sfondare i 415 ppm dei giorni nostri.
Proprio nel 2018 è nato anche il progetto Crowdforest, un collettivo che negli anni si è orientato verso la divulgazione scientifica, facendone un progetto di accrescimento culturale e di ricerca sui possibili approcci e le soluzioni pratiche per contrastare la crisi climatica. Crowdforest, inizialmente nato come un progetto di ricerca della seedball perfetta per la riforestazione con particolare attenzione alle specie autoctone, ha preso poi spontaneamente la strada della disseminazione del pensiero critico, scientifico ed ecologico, come strumento per affrontare in modo propositivo e consapevole la crisi climatica, come ci racconta Giovanni:
«All’inizio pensammo alle foreste con una visione tecnologica della risposta umana al cambiamento climatico. Abbiamo fatto un piccolo crowdfunding per finanziare la ricerca, per spingere il crowdfunding abbiamo aperto una pagina di divulgazione che poi, anche in maniera abbastanza involontaria, è diventata la nostra strada».
La ricerca delle soluzioni è dunque al centro dell’attività divulgativa di Giovanni e del collettivo Crowdforest, e l’attivismo può essere un canale per smuovere l’immobilismo e il circolo vizioso nel quale si trova spesso incastrata la discussione sull’ambiente e sul cambiamento climatico.
«Non è più possibile che persone che negavano il cambiamento fino a qualche anno fa, ora neghino il fatto che ci siano le soluzioni, neghino le politiche realmente in grado di ridurre l’impatto delle nostre azioni. Se non iniziamo subito a ridurre l’impatto, sappiamo bene come sia impossibile raggiungere la neutralità climatica tra trent’anni».
Le soluzioni partono anche dalle scelte individuali, anche se Giovanni precisa molto chiaramente di non credere nella determinatezza dello sforzo individuale, ma nella necessità di un cambio di paradigma evolutivo e di sistema, spiegandoci però che quello che si può fare come individui è orientarsi verso quella che definisce una decarbonizzazione migliorativa della qualità della vita.
«Non credo nella determinatezza dello sforzo individuale. A livello individuale, la cosa importante è ribellarsi al sistema fossilista, cercando uno stile di vita di qualità migliore in assenza di comportamenti legati al mondo del fossile: decarbonizzazione migliorativa. Mi compro l’auto elettrica sapendo che emette meno, sapendo che posso ricaricarla ma anche banalmente perché è più comoda da guidare e ha maggiore comfort, sicurezza e riduzione dei costi. Allo stesso modo mangio meno carne perché mi tengo più in forma mangiando prodotti più facili da digerire».
Questo stile di vita migliorativo può essere applicato a tutti gli aspetti della vita, magari partendo proprio dal viaggio come test da poi trasporre nella routine quotidiana.
«Io non vado in vacanza in aereo da anni. Se riesco a raggiungere in breve tempo un posto bellissimo in bicicletta vicino casa, ne ho una immensa soddisfazione. Preferisco frequentare il mondo alla mia portata e avere grande soddisfazione dal tempo che scorre durante il viaggio».
In questo modo arriviamo ad uno dei grandi temi che si ricollegano alla premessa iniziale di questo articolo, ovvero la tutela del territorio e dei nuovi modelli di turismo sostenibile, del quale fa parte anche il turismo di prossimità. Il turismo di prossimità vede la predilezione di mete vicine al proprio domicilio e quindi raggiungibili con mezzi a basso impatto o zero impatto quali la bicicletta (o anche direttamente a piedi), o il treno.
Il turismo di prossimità non solo riduce gli impatti ambientali, ma ha anche degli aspetti migliorativi dell’esperienza in quanto tale, racconta Giovanni: «il turismo di prossimità dà la possibilità di andare più a fondo nell’esplorazione territoriale e godere del proprio territorio. Dà la possibilità di migliorarci semplicemente guardando le cose da un altro punto di vista».
Il turismo diventa quindi anche una forma di rispetto verso il territorio, pratica e sviluppo non distruggono le basi su cui è poggiato. Avere questo tipo di sensibilità verso il territorio permette di riuscire ad osservare meglio alcuni aspetti della realtà. Abbiamo chiesto a Giovanni di raccontarci cosa ha osservato negli anni in cui ha praticato l’alpinismo, un’attitudine da parte dell’uomo ad avvicinarsi alla montagna o una società che cerca ancora di avvicinare la montagna all’uomo costruendo nuove infrastrutture?
«Qui sfondi una porta aperta, con qualche amico abbiamo creato uno slogan “allontanare le montagne” che è il nostro modo di dire che l’avventura parte dalla porta di casa. L’intera giornata in montagna, quindi anche il tragitto verso la montagna, diventa parte dell’avventura e della sfida dell’alpinismo. Questa cosa richiede di andare in bicicletta o a piedi, o in treno, ma amplifica l’esperienza. Non è peggiorativa, ma amplifica la soddisfazione. Il grosso miglioramento in termine di impatto individuale si ha quando questa esperienza diventa didattica per il resto delle tue abitudini: se puoi andare in bici in montagna, puoi andare in bici anche al lavoro. Funzione didattica di allenamento sul punto di vista».
Ecco il test che gli ha fatto capire che un’altra routine è possibile: «Provi una volta e dici cavolo funziona, si può fare!»
Se con questa domanda siamo entrati in uno scenario chiaro, proviamo ad addentrarci anche nel panorama delle aspettative: dopo questo fermo forzato delle attività sul territorio, ci si indirizzerà nuovamente verso l’adattamento del territorio al turismo o si passerà invece ad una filosofia di turismo per il territorio?
«Uscirne migliori non lo so, credo fortemente che se si riescono a trovare delle opportunità economiche strutturate per il turismo dolce, questo possa vincere. Invece se viene messo contro le opportunità economiche, perderà».
Quindi un ruolo importante lo giocheranno le politiche per la ripresa, e l’assenza o meno di una visione a lungo termine dello sviluppo sia del turismo che delle comunità montane:
«Un ruolo importante sta principalmente in capo alle scelte della politica: se decido di dare 10mld di euro per la nuova funivia che collega Monte Bianco al Monte Rosa oppure decido di fare formazione per guide escursionistiche, messa in sicurezza dei sentieri, sviluppo della rete sentieristica, etc., sto decidendo se scommettere su un tipo di turismo o sull’altro».
E per la salute delle nostre montagne e non solo, secondo Giovanni, c’è «necessità di una risposta politica capace di deviare questa deriva».
Ad inizio 2020, in occasione del World Economic Forum a Davos, Giovanni e un gruppo di amici hanno compiuto una impresa: hanno raggiunto la cittadina ospitante il forum, sci ai piedi, per chiedere un impegno concreto verso la decarbonizzazione. L’avventura, che ha riscontrato grande attenzione da parte dei media, è raccontata nel libro Sciare in un mondo fragile. Quattro amici sul filo della crisi climatica, scritto da uno dei protagonisti di questo viaggio insieme a Giovanni, Marco Emanuele Tosi. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, ma bisogna avanzare qualche riflessione, e questo libro può essere un buon compagno per farlo.
Quest’anno sarà un anno importante e probabilmente anche decisivo sia livello nazionale che internazionale con la ripresa dei negoziati per il clima. Abbiamo chiesto a Giovanni, in qualità di attivista, se ha in mente qualche altra impresa (anche se Glasgow è chilometricamente molto più impegnativa) e quali siano le sue aspettative verso i negoziati.
«Eh sì, Glasgow é lontana, ma sulla Cop sarò caustico con questa affermazione: non credo che la transizione parta dalla Cop. Ho delle speranze nei riguardi dell’attività negoziale per quanto può riguardare la conservazione ecosistemica, ma ora Cina e Stati Uniti hanno visto delle opportunità nella transizione, non c’è più da convincerli, ci sarà semmai da tenere il passo».
Infatti ormai sappiamo che una transizione ecologica offre opportunità di sviluppo sia economico che occupazionale che non possono essere sprecate oltre ad essere una occasione (l’ultima secondo l’EEA) per contrastare la crisi climatica; i vantaggi offerti dall’uso delle energie rinnovabili stanno dando uno stacco al mondo del fossile, indirizzato verso un inesorabile declino.
L’alba di una nuova era rinnovabile: il tramonto del fossile |
In chiusura, abbiamo fatto una domanda a Giovanni alla quale abbiamo chiesto di rispondere non solo come attivista, ma forse dal punto di vista del ruolo più importante della sua vita, quello di padre. Quale sentimento prova nei confronti del futuro delle sue figlie? Sapendo che il futuro delle prossime generazioni sarà inevitabilmente segnato dalla crisi climatica.
«Mi spaventa il danno generazionale che stiamo facendo, per le mie figlie sto costruendo una realtà resiliente e siamo fortunati, ma per molti loro coetanei non sarà così e questo mi mette sicuramente tristezza e preoccupazione».
Abbiamo bisogno di un nuovo modello di sviluppo e la sostenibilità può essere il valore guida di questo cammino: «Lo sviluppo che va nella direzione della sostenibilità che ha la necessità di affrontare gli argomenti in maniera più complessa, è quello il modo giusto di far crescere una società».
Leggi anche:
Da economista di professione ad attivista per il clima: tutti i perché di Riccardo Antoniol |