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Lupi in Italia, una specie protetta ma demonizzata

Il parere degli esperti sulla reale pericolosità dei lupi, l'attuale sistema legislativo e la natura di questa specie

In questi giorni si è riaccesa la polemica sulla “questione lupo”  in seguito ad una segnalazione pubblicata su Il Corriere delle Alpi  rispetto ad un branco di lupi che, in Val di Fassa, ha raggiunto il centro abitato. Il Presidente della provincia di Trento, Maurizio Fugatti, ha focalizzato l’attenzione sulla pericolosità di questi animali ponendo in primo piano l’ammissibilità della cattura.

Attualmente, da un punto di vista legislativo, disponiamo di un nuovo “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”. Il piano è stato elaborato ad Aprile dal Ministero dell’Ambiente e non prevede le uccisioni attraverso i cosiddetti “abbattimenti controllati” invece inclusi nel precedente piano del 2017, esclude la riapertura della caccia e punta sulla conservazione della biodiversità.

Per cercare di capire se e in che termini la presenza dei lupi sul nostro territorio (attualmente si contano circa 2000 lupi tra Alpi e Appennino) sia pericolosa per i cittadini, gli agricoltori e gli allevatori e quali azioni siano necessarie per mitigare la convivenza uomo-fauna locale, ci siamo rivolti a chi ha una conoscenza approfondita di questa specie, ovvero al dott.re Claudio Delfoco, laureato in Scienze della Natura all’Università degli Studi di Pavia e direttamente coinvolto nello studio dei grandi carnivori.

Claudio Delfoco
Dott.re Claudio Delfoco

Da sempre affascinato da questi animali, il Dott. Delfoco si è laureato in Scienze Naturali all’Università degli Studi di Milano con una tesi sul monitoraggio intensivo del lupo (Canis lupus), indagando la distribuzione e la selezione dell’habitat, i ritmi di attività, la dieta e la struttura dei branchi dei lupi presenti in un’area compresa tra le province di Savona, Imperia e Cuneo. La carriera universitaria si è sviluppata in seguito presso l’Università degli Studi di Pavia dove si è laureato con una tesi sul monitoraggio dello sciacallo dorato (Canis aureus), un animale appartenente allo stesso genere del lupo (Canis). Tesi la cui finalità è stata quella di comprendere quali siano i fattori che influenzano la distribuzione di questa specie in Friuli Venezia Giulia e conseguentemente quali siano le aree idonee per una possibile espansione sul territorio regionale. Entrambi i lavori sono stati seguiti e coordinati dal Prof. Alberto Meriggi, uno tra i massimi esperti di grandi carnivori in Italia e docente del corso di Gestione e conservazione della fauna presso l’Università degli Studi di Pavia e dalla dott.ssa Elisa Torretta. Nel corso della sua carriera universitaria, con l’Università degli Studi di Pavia, ha inoltre preso parte a diversi censimenti di ungulati selvatici (capriolo e cervo) e lagomorfi (lepre).

 

  • Iniziamo da quella che in questi giorni è il fulcro delle discussioni, ovvero la proposta del Presidente della Provincia di Trento di rendere ammissibile la cattura dei lupi, lo ritiene un provvedimento costruttivo e risolutivo?

La cattura e la conseguente manipolazione della fauna selvatica non è un argomento da prendere alla leggera!

È bene però far da subito una precisazione: catture organizzate e coordinate da esperti a fini di studio, eseguite quindi da personale idoneo e con lo scopo di attuare un piano di monitoraggio possono fornire una grande quantità di informazioni utili a comprendere meglio le abitudini della specie d’interesse. Viceversa, per quanto riguarda il lupo, lo spostamento di uno o più individui potrebbe destabilizzare il branco di appartenenza, favorendo la possibilità che si instaurino dinamiche non favorevoli per gli allevatori locali come l’aumento della predazione del bestiame ad esempio. Inoltre, non sarebbe da meno il problema della liberazione in un luogo diverso da quello di origine. Una volta rilasciato, gli scenari possibili non sono molti: potrebbe entrare in conflitto con branchi già presenti nell’area di rilascio e di conseguenza andare incontro a morte quasi certa; oppure potrebbe cercare di tornare nel luogo di provenienza o ancora, cercare un’area idonea in attesa di trovare un compagno/a. In questi due casi però è più probabile che rivolga la propria attenzione verso fonti di cibo più accessibili (bestiame non ben custodito o rifiuti alimentari ad esempio) rispetto agli ungulati selvatici, sue prede naturali, alimentando in questo modo il conflitto con le attività zootecniche locali.

Inoltre, è bene ricordare che in Italia non è mai stata eseguita nessuna reintroduzione per questa specie. Dopo il minimo storico, toccato negli anni ’70, con un centinaio di individui sopravvissuti in Centro Italia, la tutela e lo studio del lupo, oltre all’abbandono delle montagne da parte dell’uomo, hanno permesso la sua naturale espansione nelle zone da cui era stato scacciato.

  • Quindi sarebbe un provvedimento non risolutivo che innescherebbe meccanismi poco raccomandabili. Concentrandoci sulle delle dichiarazioni in sfavore di questa specie, che ricordiamo essere una specie protetta, fanno spesso leva sulle paure delle persone, essendo il lupo una creatura spesso associata “al male” nell’immaginario popolare. Allo stato attuale delle cose, quanto la presenza del lupo sul nostro territorio è da considerarsi pericolosa per la vita umana?

Diciamo che è praticamente il contrario. Il lupo è da sempre presente sul nostro territorio e la convivenza con l’uomo non è una novità. In Italia non sono riportati attacchi all’uomo documentati da oltre 100 anni. Questo perché, in questa specie, è ancora ben impressa la paura nei confronti dell’essere umano e la natura elusiva di questo animale fa sì che quando possibile preferisca evitare il contatto diretto. Nonostante quello che si possa pensare, vedere un lupo in natura è un avvenimento piuttosto raro. Al contrario, la maggior causa di morte del lupo è rappresentata dal bracconaggio e dagli investimenti stradali.

  • Mi sembra di capire che c’è molta disinformazione rispetto a questa specie animale. Nelle zone in cui ci si trova a vivere a contatto o comunque in zone limitrofe all’habitat di questa specie, sono presenti  delle norme di comportamento per evitare di creare situazioni critiche sia per l’animale che per l’uomo?

Dove previsto, le regioni interessate dalla presenza del lupo hanno operatori che si occupano di informare i diretti interessati e, in alcuni casi, la popolazione locale. Quest’attività ha l’obbiettivo di spiegare loro quali siano i metodi da utilizzare per prevenire o ridurre eventuali predazioni e come comportarsi in caso di risarcimento per danni da avvenuta predazione o in caso di incontro. Le predazioni al bestiame possono essere evitate o ridotte utilizzando dei recinti elettrificati, dei dissuasori acustici, dei cani da guardia o provvedendo al ricovero notturno dei capi. È stato dimostrato come le predazioni diminuiscano con questi accorgimenti. Purtroppo però, ancora oggi, non tutti gli allevatori hanno adottato queste strategie e continuano a subire perdite. Per chi volesse godersi una passeggiata in montagna o in collina la probabilità d’incontro è davvero minima se non del tutto assente. Come già detto sono animali molto elusivi che hanno imparato ad adattare i propri ritmi di attività in funzione di quelli dell’uomo. Per minimizzare la possibilità di contatto l’attività del lupo si concentra in momenti della giornata in cui la presenza antropica è minima, dal tramonto all’alba per intenderci.

  • La convivenza è quindi possibile?

Certo, è necessario ridurre il più possibile i conflitti con l’uomo prevenendo le predazioni al bestiame e sfatando l’idea che il lupo possa competere con i cacciatori, in particolar modo per quanto riguarda la caccia agli ungulati. Il lupo non potrà mai ridurre il numero e le densità delle proprie prede, in quanto le popolazioni di lupo vivono a bassissime densità rispetto a quelle raggiungibili dalle loro prede. Inoltre il numero di lupi non può aumentare ancora molto per il territorialismo dei branchi. Una prova di questo è il continuo aumento degli ungulati selvatici in Italia (un esempio è l’aumento di cinghiali che sta causando numerosi problemi agli agricoltori) nonostante l’aumento della popolazione di lupo.

  • Tornando al caso studio, cosa ne pensa dell’attuale situazione in Val di Fassa?

È un argomento delicato in questo momento. É comprensibile che gli abitanti della Val di Fassa, delle valli limitrofe e i turisti che le frequentano siano spaventati. Complice anche la cattiva pubblicità fatta al lupo in questi anni, la disinformazione generale intorno a questa specie e il polverone alzato dal recente avvistamento in paese a Campitello. Individui che si avvicinano ad aree abitate o transitano nei paesi sono una cosa piuttosto normale e documentata. Capita che la via più breve per spostarsi da un punto A ad un punto B possa comprendere il passaggio su strade sterrate o asfaltate. Come misura preventiva bisognerebbe educare le persone a disincentivare i lupi dalla frequentazione dei paesi per ragioni che non siano legate ai semplici spostamenti. Comportamenti come l’abbandono dei rifiuti alimentari all’esterno delle abitazioni o dei locali fungono da foraggiamento per eventuali individui deboli o debilitati che in questo modo trovano una fonte di cibo facilmente reperibile. Occorrerebbe inoltre attuare un piano di monitoraggio per i branchi presenti nell’area e intensificare la campagna d’informazione iniziata qualche mese fa. In questo modo sarebbe possibile comprendere meglio la situazione locale e tranquillizzare ulteriormente gli abitanti.

Dott.re Claudio Delfoco
Dott.re Claudio Delfoco

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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