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Neve chimica? Si tratta di “neve da nebbia”: ecco come si forma e cosa c’entra l’inquinamento

In questi giorni è stata molto diffusa la notizia della cosiddetta "neve chimica" avvistata in Pianura Padana. C'entra l'inquinamento, ma non è il responsabile principale

Rimbalza su social e siti internet la notizia della cosiddettaneve chimica” che negli ultimi giorni ha imbiancato alcune zone della Pianura Padana. Un fenomeno piuttosto raro e certamente curioso, considerato il periodo eccezionalmente mite e siccitoso che sta vivendo l’Italia, alle prese con una lunga fase anticiclonica che ha interrotto l’arrivo di perturbazioni capaci di portare preziose piogge e nevicate.

Ma è proprio questo tipo di circolazione atmosferica a essere legata al fenomeno della neve chimica o, com’è più corretto definirla, “neve da nebbia“. Durante la stagione invernale, infatti, condizioni di stabilità atmosferica sono responsabili della formazione di nebbie anche fitte e insistenti nelle aree di pianura, accompagnate da una persistente “inversione termica” che determina in queste zone un clima più freddo di quello che si osserva a quote più elevate.
La cosiddetta neve chimica si sviluppa proprio quando negli strati atmosferici più vicini al suolo si registrano temperature basse e tassi di umidità elevati.

Fitta nebbia sulla pianura Padana. Foto del 29 Gennaio, scattata dal satellite Sentinel 3 del progetto EU Copernicus

Come si forma la neve chimica, o meglio la neve da nebbia

Lo strato fitto di nebbia ostacola i raggi solari e di conseguenza le temperature non subiscono variazioni significative tra le ore notturne e quelle del giorno oscillando spesso, in inverno, intorno alla soglia degli zero gradi. In queste condizioni è possibile che si verifichi un fenomeno simile a quello delle più classiche nevicate, spiegano gli esperti dell’ARPA Lombardia: «deposizioni di cristalli di neve sulle superfici immerse in quella che è una vera e propria nube “appoggiata” alla pianura».

Ecco perché dovremmo parlare di neve da nebbia: il termine “neve chimica” «risulta fuorviante – avverte l’APRA – perché induce a pensare che all’origine del meccanismo di deposizione del leggero manto bianco osservato, o al suo interno, ci sia qualche sostanza chimica, estranea e sconosciuta, mentre ciò che si vede altro non è che acqua allo stato solido», proprio come nel caso della neve.

Colpa dell’inquinamento?

L’inquinamento non è il principale responsabile di questo fenomeno, ma nei cristalli di “neve da nebbia” è possibile trovare tracce degli inquinanti che stazionano sulla pianura padana. E il rischio è alto soprattutto in momenti come questo, con la lunga fase di stabilità atmosferica che, purtroppo, sta favorendo l’accumulo di polveri sottili con valori che da giorni stanno superando i limiti imposti per tutelare la nostra salute.

I cristalli, infatti, si sviluppano per l’accumulo di vapore acqueo su nuclei di condensazione, che possono essere particelle microscopiche di origine naturale o antropica, come nel caso delle polveri sottili generate dalle nostre attività. In condizioni come quelle che stiamo osservando in questo periodo, dunque, anche le sostanze inquinanti possono agire da nucleo di condensazione favorendo la formazione delle nebbie e della relativa neve da nebbia.

 

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Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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