Vortice polare da record cancella l’inverno 2019-2020
Lui è il responsabile dello "scempio meteorologico e climatico" che stiamo vivendo in questi mesi di inverno assente
Il Vortice Polare ha raggiunto valori record: i “venti zonali” attorno ai 30 Km di altezza sopra il Polo Nord hanno infatti raggiunto i 60 m/s, superando il precedente record di 57,7 m/s del 1988.
Anche l’indice dell’Oscillazione Artica il 10 febbraio scorso ha raggiunto il valore record di +6,34, paragonabile a quello misurato nell’inverno del 1975-76. E non è finita qui: secondo le proiezioni entro la fine del mese è previsto un secondo picco superiore a quest’ultimo appena raggiunto.
Il Vortice Polare non è altro che una grande circolazione di bassa pressione in quota, una vera e propria trottola con moto circolare in senso antiorario, colma di aria molto fredda al suo interno, che staziona in modo semi-permanente sopra la verticale del Polo Nord, tra la parte alta della troposfera e la bassa stratosfera, ad una quota media compresa tra i 10 e 30 Km circa. Si tratta di una struttura la cui forza e quindi anche il cui relativo approfondimento dipendono essenzialmente dalla stagione: esso tende ad approfondirsi nel corso dell’inverno, in corrispondenza del minimo di radiazione solare in ingresso nell’atmosfera terrestre e di un raffreddamento importante delle zone artiche circostanti, e ad indebolirsi nel corso della primavera, fino a quasi a scomparire durante l’estate, a seguito di un considerevole incremento dei flussi radiativi solari. Più si raffredda il vortice polare, più si approfondisce e più intensamente ruotano i venti in senso antiorario attorno al suo centro, assumendo una forma via via sempre più circolare e simmetrica, diminuendo le probabilità di irruzioni artiche o polari verso le medie e basse latitudini. E’ quello che sta succedendo in questa parte finale di inverno boreale, con un vortice polare fortissimo, da record in termini di velocità dei cosiddetti “venti zonali” i quali, attorno ai 30 Km di altezza sopra il Polo Nord, hanno raggiunto i 60 m/s, superando il precedente record di 57,7 m/s del 1988.
Una misura dell’intensità del vortice polare è data dall’Oscillazione Artica (AO, ovvero artic oscillation), un indice descrittivo relativo ad un preciso schema della circolazione atmosferica delle medie-alte latitudini, nell’Emisfero Nord, riferito al livello mare. Più precisamente, questo indice è calcolato in base alla differenza di pressione rilevata tra l’Artico e le medie- basse latitudini (generalmente tra il 37 e il 45 ° parallelo). L’AO fa parte delle teleconnessioni atmosferiche, che a sua volta ha legami con la NAO (North Atlantic Oscillation) e con il NAM (North Annular Model), di cui abbiamo già avuto modo di parlare in precedenza.
Nonostante si trovino ad altitudini differenti, oscillazione artica e vortice polare sono quindi strettamente legati tra loro: questo perché stratosfera e troposfera sono interconnessi al punto che, un cambiamento nella struttura e forza del vortice polare, può avere effetti sulla superficie del pianeta, la cui impronta viene rilevata proprio nell’AO.
Possibly the most positive 5-day period of Arctic Oscillation you have ever seen.
Anomalously low pressures inside the Arctic circle, surrounded by high pressures at mid-latitudes all over the globe. pic.twitter.com/T93q8EoJ9p
— Mika Rantanen (@mikarantane) February 19, 2020
Più precisamente, possiamo individuare due fasi dell’AO: una negativa e una positiva.
Quando l’AO è positiva significa che il vortice polare è particolarmente profondo e attivo, l’aria fredda resta imbrigliata al suo interno senza avere possibilità di fuoriuscire dalla sua sede naturale, generando un flusso di correnti occidentali (da ovest verso est) temperate, poco ondulate, che fluiscono intensamente da ovest verso est e che limitano di conseguenza gli scambi di calore tra alte e basse latitudini. Ne consegue un tempo prevalentemente stabile e più mite del normale sull’America settentrionale, sull’Europa centrale e meridionale e su gran parte dell’Asia.
Al contrario, quando l’AO è negativa significa che il vortice polare è destabilizzato, mentre le tese correnti occidentali rallentano e iniziano ad oscillare. A seconda dell’ampiezza del fenomeno, il vortice polare può semplicemente ellitticizzarsi o arrivare a scindersi in due o anche tre parti (il cosiddetto “split” del vortice polare). I brandelli del vortice polare hanno modo di migrare verso sud, causando irruzioni più o meno intense di aria molto fredda verso le medie-basse latitudini. Il tempo risulta molto più instabile, più freddo della norma e con episodi di maltempo di stampo invernale.
La propagazione di ciò che avviene ai piani alti (bassa stratosfera) fino ai piani bassi (bassa troposfera- superficie terrestre) non è immediata, ma avviene con un ritardo di circa 2 settimane. Pertanto, un eventuale indebolimento del vortice polare si rifletterebbe più in basso con una diminuzione dell’AO nel corso delle successive due settimane.
Il 10 febbraio scorso è stato raggiunto il valore record di + 6,34 dell’indice AO, paragonabile a quello misurato nell’inverno del 1975-76, a conferma di un vortice polare fortissimo, da record, e di un inverno praticamente inesistente su oltre tre quarti di Europa, con temperature eccezionalmente miti e di molto oltre la norma. E non è finita qui, perché a fine mese è previsto un nuovo picco record, superiore a quest’ultimo appena raggiunto.
Sintetizzando al massimo e mettendo insieme gli indici analizzati in questa sede con quelli analizzati nell’articolo precedente, potremmo dire che:
vortice polare forte ⇒ AO positiva ⇒ NAM superiore a 1,5 ⇒ NAO positiva
vortice polare debole ⇒ AO negativa ⇒ NAM inferiore a 1,5 ⇒ NAO negativa
The most recently observed Arctic Oscillation is the highest daily value in our historical record (6.34), breaking the past record from February 26th, 1990 (5.91). #AO https://t.co/YWilD9lYGu pic.twitter.com/84Vc1pzSnH
— NWS Climate Prediction Center (@NWSCPC) February 10, 2020
La domanda che forse ci si dovrebbe fare è: perché il vortice polare si raffredda così tanto? Perché è da qui che trae origine il meccanismo perverso finora descritto, responsabile dello “scempio meteorologico e climatico” che stiamo vivendo in questi mesi di inverno assente.
La cosa più difficile, forse, è dare una risposta esaustiva e verosimile. Le cause potrebbero risiedere in ciò che succede e non succede sia in stratosfera che in troposfera. Da un lato, la diminuzione delle concentrazioni di ozono in stratosfera (buco dell’ozono), che di conseguenza catturano una minor quantità di radiazione ultravioletta, liberando meno calore nella stratosfera in fase di foto dissociazione. Dall’altro, una diminuzione dei flussi di calore che dalla bassa troposfera si spingono in quota fino alla bassa stratosfera (iniezioni di aria calda dal basso verso l’alto, fino al cuore del vortice polare, fino a provocarne una destabilizzazione), segno di una scarsa attività delle onde troposferiche e quindi di una sostanziale assenza di situazioni di blocco anticiclonico, in grado di portare aria calda verso il Polo e aria fredda verso le basse latitudini.
In particolare, c’è da segnalare un flusso di calore negativo avvenuto nei giorni scorsi, segno di una riflessione di queste onde piuttosto che un loro assorbimento in stratosfera. Questa situazione non fa altro che intensificare ulteriormente il vortice polare.
Tutto ciò ci fa ipotizzare una prosecuzione dell’attuale situazione meteorologica ancora per diversi giorni, probabilmente anche per la prima parte di marzo. E’ anche vero, però, che la stagione avanza: pian piano si dovrà andare incontro ad un fisiologico indebolimento del vortice polare e ad una sua improvvisa rottura. Sarebbe quindi lecito aspettarsi fasi meteorologiche più turbolente e più fredde a cavallo tra fine inverno e inizio primavera, se non addirittura nel corso della primavera, per gran parte dell’America settentrionale, dell’Europa e dell’Asia. Ma, naturalmente, è solo un’ipotesi, quindi il condizionale, in questi casi più che in altri, è d’obbligo.