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Il Madagascar, hotspot di biodiversità raccontato da un biologo che ha scelto questa Terra da 20 anni

Il turismo consapevole può salvare il mondo. Quanto siamo pronti a viaggiare con occhi diversi?

Lo scorso anno ho fatto un viaggio in Madagascar; da sempre sognavo di poter conoscere almeno in piccola parte, questa Terra unica: la sua biodiversità riflette il fatto che l’Isola è rimasta separata per circa 88 milioni di anni e ospita un gran numero di piante e animali che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Circa il 90% di tutte le specie vegetali e animali presenti è endemico. Questa caratteristica ecologica ha portato alcuni studiosi a soprannominare il Madagascar “l’ottavo continente” mentre Conservation International ha classificato il Madagascar come hotspot di biodiversità.

Volendo girare il mondo con chi si impegna in modo concreto per sviluppare un turismo sostenibile, fatto di scelte etiche e soprattutto salvaguardia della natura, ho scelto VOIhotels, la catena alberghiera del gruppo Alpitour e nella struttura Andilana ho conosciuto il biologo Luca Rosetti. Ho voluto intervistarlo per capire meglio come possa essere portata avanti una correlazione tra turismo e salvaguardia del posto e come in 20 anni i cambiamenti climatici abbiano influito. Di seguito domande e risposte

Come sei diventato biologo? Hai sempre avuto questa passione? Perché ti sei stabilito proprio in Madagascar?

Il mio percorso è molto particolare: nasco come ingegnere, l’aspetto della biologia è nato in un secondo tempo. La mia essenza mi ha fatto uscire dal sentiero tradizionale portandomi a interessarmi all’ingegneria e alla biologia soprattutto per tutti quegli aspetti che riguardano la biomimetica, cioè la trasformazione delle idee che la natura ti dà per avere delle implementazioni di carattere tecnico. Per farti un esempio, di recente io e altri studiosi stiamo approfondendo tutto ciò che è legato alla realizzazione di materiali di cemento che possano ingabbiare l’anidride carbonica esattamente come fanno i piccoli polipi quando bloccano l’anidride carbonica creando del carbonato di calcio per le barriere coralline. Prima di arrivare in Madagascar, a l’Andilana, sviluppavo sopralluoghi nelle mete turistiche per Viaggi del Ventaglio, cercando elementi tecnici che potessero far parte dello storyboard di un film, un documentario con tematica antropologica e naturalistica per poter lanciare la destinazione in tv. Dal 95 al 2008 ho collezionato 80 Paesi, tra questi Cuba, Costarica, Honduras, Islanda, Oman, Tanzania ecc. Arrivai all’inaugurazione dell’hotel, feci la mia solita serie di sopralluoghi come da prassi e qui mi venne l’idea di trasformare tutte queste conoscenze che si traducevano in un solo film all’anno, in esperienze quotidiane. Pensai che si potessero ipotizzare escursioni per proporre qualche contenuto in più, soprattutto etico, non i soliti giri ai mercatini oppure le visite ad animali in costrizioni. All’hotel l’idea piacque e così dal 2002 si sviluppò un percorso con Alpitour e Daniele D’Alo’, il direttore generale, in questa direzione: approfittare dello spostamento fisico del turista, l’unico spostamento teoricamente senza motivazione dannosa, pacifico, specifico nella direzione di sole, del cibo e del relax ma anche per toccare con mano le realtà anziché vederle in tv. Nel 2022 i partecipanti a questo tipo di esperienze sono stati 4400 e di questi quasi 2000 sono entrati in contatto in modo rispettoso con la natura, scoprendo per ogni animale tutti gli studi e le ricerche che ci sono dietro per cercare di migliorare la nostra realtà quotidiana.

Madagascar

Dopo così tanti anni in Madagascar, quali cambiamenti importanti dell’ecosistema hai visto con i tuoi occhi? Come credi impatti il costante flusso di turisti?

Dal momento in cui devo analizzare l’impatto ambientale mi muovo considerando 3 fattori: il consumo e l’inquinamento pro capite e l’aspetto demografico. Considera che qui le persone non hanno i consumi che abbiamo noi; se quel valore sull’impatto ambientale da noi è importante perché siamo sempre spinti ad un aumento del consumo, in questo posto non è altrettanto. Anche l’inquinamento è limitato, non siamo in una condizione occidentale; sia a Nosy Be che in tutto il Madagascar la situazione sta migliorando un po’. L’aspetto più impattante è quello demografico che da noi si sta riducendo mentre qua sta aumentando l’impatto ambientale. Le variabili locali mi dicono che questo Paese aveva poco più di 3 milioni di abitanti negli anni ’50, oggi ne ha circa 27 milioni e si stima che nel 2034 saranno il doppio, 54 milioni. Quindi l’impatto che sta avendo il Madagascar in loco, è un impatto visivo provocato dal fatto che le donne qui superano il 2.1, il coefficiente di rotazione per mantenere l’equilibrio in termini numerici in una popolazione e si spingono oltre i 5 perché non c’è l’emancipazione femminile: le donne si sentono tali in quanto madri. Il turismo sta agendo sull’impatto ambientale perché tutte le donne che lavorano in un hotel, non possono svolgere la propria mansione se hanno troppi figli, magari riescono con 2, massimo 3, quindi di riflesso si spegne la variabile della deforestazione. Mi spiego meglio, chi non lavora pensa a sostenersi producendo riso, quindi deforestando maggiormente. C’è anche un impatto sui consumi esterno che può provenire da un turista inconsapevole, che magari vuole comprare l’olio di langhi langhi senza pensare a quale sia l’impatto sulla foresta. Bisognerebbe quindi lavorare in 2 sensi: rendere consapevole il consumatore, il turista che viene da noi di cosa c’è dietro il biscottino con l’olio di palma o al detersivo o la crema con il langhi langhi e cercare di migliorare la condizione femminile perché una donna si senta donna anche senza fare la madre a tempo pieno. Il turismo è fondamentale anche se spesso nessuno lo analizza, perché riesce a impiegare una manovalanza femminile importante. Nel nostro hotel le donne sono almeno la metà; la pressione sulla foresta c’è perché nel villaggio sta aumentando il numero di bambini, quindi si moltiplica la domanda di riso e incrementano le richieste derivate dai desideri dei turisti. Se non ci fossimo noi però che difendiamo la foresta e portiamo le persone a conoscerla, non ci sarebbe più perché purtroppo dove non ci sono interessi economici legati alla protezione di queste aree, la mentalità che prevale è quella dell’agricoltore, ossia deforestare, tagliare e bruciare per la pastorizia e la produzione di riso. Non prevale un’educazione scolastica, politico familiare, al massimo esiste la ritualità, la religione, il non fare determinate cose perché si pensa portino sfortuna. Per rispettare l’ambiente si deve avere un’educazione che parte dall’istituto scolastico e dalla famiglia.

Madagascar

Purtroppo non esiste una tradizione che rispetti la natura; i malgasci 1500 anni fa erano già agricoltori, sono nati con un’educazione agricola, non sono un popolo errante che dopo due raccolti si sposta e l’orto si rigenera. Non vivono nella foresta, vivono fuori e la usano come un supermercato: considerano la terra come un elemento da sfruttare. Ad esempio in Costa Rica hanno capito come guadagnare con la natura, qui non sono preparati. Pensa che ci sono persone che ci hanno suggerito di importare giraffe, leoni e ippopotami perché credono che dopo il film Madagascar i turisti potrebbero aumentare con la presenza di questi animali. Se chi vive qui non si rende conto di essere in un contesto che si pone al primo posto della biodiversità del Pianeta e propone di importare le specie degli altri, cosa se ne fa se non riesce a proteggere in primis le sue? Qui siamo nell’assurdità più totale.

Madagascar

I malgasci non si rendono conto della fortuna che hanno?

Il Madagascar tecnicamente è il luogo più interessante del mondo, ricco di specie endemiche, l’ultimo e l’unico dove ad esempio puoi trovare un camaleonte non ancora classificato, uno dei Paesi al mondo che mantiene la maggior parte delle riserve genetiche mondiali nelle sue foreste pluviali, in più è ricco di piante medicinali. È assurdo non proteggere i propri animali, non valorizzare il territorio, ma pensare di importare. Questa è la mentalità e purtroppo si giustifica tutto questo per la necessità di recuperare cibo. Il turismo è fondamentale e non stiamo parlando di un turismo massivo, non possiamo stimolare i viaggiatori che non ci sono più ma bisogna trasformare il turista ludico in un turista che prenda coscienza. Se ci ritroviamo tanti turisti più consapevoli, sono questi che spingeranno i locali in una direzione; per esempio prendere una scultura di legno fatta da un legno di mangrovia restituito dal mare e non dall’abbattimento di un albero può dare ai locali un grande insegnamento. Noi abbiamo l’educazione, deve partire da noi, loro non ce l’hanno.

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Quali cambiamenti hai visto negli animali che studi?

Gli animali scappano. Nel momento in cui c’è una desertificazione sul territorio terrestre, cercano di rimanere dove trovano acqua; se tagli e bruci tutto per produrre riso, scappano verso l’alto, cercano di rifugiarsi nei luoghi che per noi sono più impervi e quindi anche turisticamente diventano irraggiungibili con tutte le complicazioni del caso. 20 anni fa nel tragitto in macchina dall’hotel alla città, facevo a gara con un amico, una guida locale, per chi vedesse più animali. Avevamo una tecnica per vedere i camaleonti di notte: in un tratto di strada di 40 minuti se ne individuavano in piena velocità almeno 15; adesso in circa 30 minuti di macchina forse riesco a vederne uno ai lati della strada. Non c’è più vegetazione, è tutto edificato o in via di edificazione e quindi gli animali cercano luoghi isolati, più irraggiungibili. Quando arrivano piogge torrenziali e l’acqua non riesce ad entrare nel terreno o perché arriva di rado e violenta o perché non ci sono radici di alberi a trattenerla, tutta la fanghiglia che finisce in mare con l’acqua dolce, va sulla barriera corallina e quindi chi si alimentava sulla barriera corallina si allontana. La perdita di vegetazione del Madagascar è pari al 2% all’anno, all’interno dei parchi che sono il 5% del territorio, è dell’1%. Vuol dire che in 50 anni non ci sarà più 1 albero nei parchi, un albero naturale e i parchi in 100 anni finiranno perché all’interno c’è l’oro, ci sono i minerali e quindi ci sono quelli che di frodo vivono nelle foreste e tagliano tutto.

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E nel clima?

Quello che ti posso dire io è che la stagione delle piogge sta anticipando: prima iniziava nel tardo dicembre e finiva la terza settimana di marzo, adesso inizia già la fine di novembre perché se la temperatura del mare aumenta per effetto esasperato dell’effetto serra, l’evaporazione, che poi è alla base dello sviluppo di situazioni di criticità, parte in novembre non a dicembre e quelle temperature non si spegneranno nel mese di marzo ma ad aprile. La stagione ciclonica in vent’anni che sono qui, ha aumentato il suo intervallo, questo è evidente. D’altronde più l’acqua è calda, più c’è evaporazione e aumenta il rischio della formazione di cicloni sempre più intensi. A livello planetario tagliare le foreste avrà enormi ripercussioni. Se ci fosse un responsabile del Pianeta Terra dovrebbe dire che il Madagascar è una parte del suo polmone e che dovremmo pagarlo per continuare a produrre ossigeno. Quando saltano gli equilibri, il clima e le condizioni meteorologiche sono le prime a cambiare. I fenomeni stanno diventando più violenti, c’è una maggiore frequenza di piogge più concentrate e più forti.

Come può esistere un turismo più consapevole?

Il viaggio è un viaggio nel momento in cui tu riesci a mettere in discussione per un attimo quelle che sono le tue certezze: al momento del tuo arrivo sono rappresentate dall’hotel ma tu poi le devi mettere da parte ad esempio andando a prenderti un caffè fuori, non dentro la struttura, camminando in mezzo ai locali. Le persone che accettano le piccole sfide inizialmente possono sentirsi disorientate ma poi inizia un’importante presa di coscienza. Ci deve essere qualcuno che ti dice: “fermati un attimo, rifletti”. Questo atteggiamento ti permette di ricostruirti, aumenta la tua autostima e solo così lo spostamento in un altro continente ti lascia qualcosa, che non sia solo una foto su una paradisiaca lingua di sabbia, una mangiata di aragosta o una serata in spiaggia. Questo deve fare un tour operator importante, cercare di lavorare sull’ospite, non solamente sulla ricchezza del buffet, quello è un vecchio concetto che prima o poi finirà. Si deve tornare a casa e pensare che ne sia valsa la pena. Tra l’altro i prezzi stanno aumentando continuamente quindi non so fino a quando si potranno dare a questi servizi. Non so fino a quando il viaggiare sarà giustificato per prendere la tintarella, per un raggio di sole o una temperatura meno rigida. Posso dirti che secondo me è assurdo che il turismo venga sviluppato da un tour operator italiano? Dovrebbe essere malgascio ma qui la realtà è molto lontana da questa mentalità ma per fortuna conserva ancora una genuinità che altri luoghi non hanno. Questo è il motivo che mi porta per il momento a rimanere. I malgasci non hanno la consuetudine all’apprendimento, allo sviluppo come hanno ad esempio a Cuba o in Messico. Risvegliare le coscienze, fare scoccare la scintilla che ti porta a capire che ti trovi nel posto più interessante del Pianeta, dove non ci sono animali pericolosi, la gente è cordiale, non c’è criminalità. Mi piacerebbe che le persone arrivassero qui già con un’altra mentalità, più consapevoli di trovare una struttura dove lavorano persone che possono aiutarti a comprendere. Ci piacerebbe che le persone anziché arrivare e rimanere sorprese in positivo, partano già dall’Italia con l’idea di fare una vacanza fuori dall’ordinario, non la classica “sole, sesso e sport”. Mi piacerebbe riuscire a comunicare prima che la persona fisicamente venga qui, per avere viaggiatori più pronti, preparati.

Possiamo in qualche modo salvarci?

Sono 3 le cose che ci possono salvare: l’aspetto economico, quello ambientale e la religione. Se non capisci il meccanismo per cui l’albero ci dà l’ossigeno forse è meglio puntare sul lato economico: le escursioni fanno guadagnare anche i locali e quindi bisogna proteggere quegli alberi che i turisti vengono a vedere. All’inizio il fattore religioso era il più importante: “non toccarlo perché porta male” era la frase che serviva per poter conservare alberi in intere zone. A volte mi sono inventato delle storie per evitare l’ambiente venisse danneggiato. Quanto può durare una situazione così? Sogno persone che tornano a casa non pensando a quanto fosse bella la camera con vista mare ma ricche di nuove consapevolezze da trasmettere a catena ai prossimi viaggiatori che incontrerò.

In gruppo per sostenere la biodiversità e la popolazione locale

 

Stefania Andriola

Lavoro in redazione da febbraio 2010. Mi piace definirmi “giornalista, scrittrice e viaggiatrice”. Adoro viaggiare, conoscere culture diverse; amo correre, andare in bicicletta, fare lunghe passeggiate ma anche leggere un buon libro. Al mattino mi sveglio sempre con un’idea: cercare di aggiungere ogni giorno un paragrafo nuovo e interessante al libro della mia vita e i viaggi riempiono le pagine che maggiormente amo. La meteorologia per me non è solo una scienza ma è una passione e un modo per ricordarmi quanto siamo impotenti di fronte alle forze della natura. Non possiamo chiudere gli occhi e dobbiamo pensare a dare il nostro contributo per salvaguardare il Pianeta. Bastano piccoli gesti.

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