Ecobonus auto, in Italia «grave mancanza di visione»: intervista a Luca Bergamaschi
Francia e Germania hanno dato inizio ad una vera svolta ecologica della mobilità. L'Italia è rimasta indietro
In questi giorni si parla tanto di incentivi e ecobonus per le auto, ma siamo sicuri che siano misure capaci di portare l’Italia nella nuova era della mobilità? La ripartenza economica dopo la crisi sanitaria legata al coronavirus ha posto le nazioni di fronte ad un bivio: tra le mani, infatti, abbiamo una occasione per ripensare il futuro e tradurre in azione tutto ciò che si può fare per affrontare un’altra crisi che incombe, quella climatica.
A livello europeo l’importanza di questa svolta ecologica sembra acquistare sempre più spazio nei piani d’azione del dopo Covid. In particolare, in tema di mobilità, Germania e Francia hanno già fatto passi importanti, introducendo bonus e il calo dell’IVA per l’acquisto di auto elettriche e ibride, ma anche attraverso l’introduzione di tasse progressive per ogni grammo di CO2 in più prodotto dai veicoli più inquinanti, attraverso un piano di sostegno dell’industria dell’automobile, di produzione di batterie e all’aumento del numero di colonnine di ricarica. Nessun bonus, invece, per le auto diesel o a benzina.
Mentre i nostri cugini d’oltralpe hanno fatto passi importanti verso una mobilità sostenibile, l’Italia, uno dei Paesi con la peggiore qualità dell’aria in Europa, a che punto è? Lo abbiamo chiesto a
Quella fatta da Francia e Germania può considerarsi una vera svolta ecologica?
«Si. Soprattutto la scelta politica del Governo tedesco di non seguire le richieste dell’associazione tedesca dell’auto, che è storicamente la lobby più forte in Germania per i chiari motivi industriali e occupazionali, in favore di incentivi per auto a diesel, benzina e gas. Il Governo Merkel ha invece deciso di incentivare solo auto ibride ed elettriche. Ciò riflette un chiaro calcolo economico. Infatti i benefici della rottamazione e di nuovi incentivi ad auto fossili non sono più tali da giustificare nuove risorse pubbliche. Mentre legare gli incentivi allo sviluppo di nuove catene di valore è il modo più efficace per preservare la competitività dell’industria tedesca nei mercati globali e creare nuova occupazione. Macron ha capito e applicato una filosofia del tutto simile per rilanciare il settore francese».
Cosa ne pensa, invece, delle misure in attesa di approvazione sull’ecobonus auto del decreto Rilancio?
«Purtroppo l’emendamento in Parlamento a favore di incentivi ad auto a diesel e benzina Euro 6 mostra tutta la fragilità della classe politica italiana. Denota una grave mancanza di visione e un’esposizione acritica a interessi di imprese, come FCA, molto indietro sulla mobilità elettrica, che è la vera rivoluzione del settore dei trasporti. Incentivi ad auto fossili, compreso il gas, sono molto costosi e poco efficaci. L’esperienza delle rottamazioni dal 2009 a oggi in Italia mostra benefici ambientali e di salute molto bassi a fronte di un costo pubblico molto alto per auto che con molta probabilità sarebbero vendute ugualmente. La proposta italiana aumenta la dipendenza da tecnologie vecchie e inquinanti e apre il mercato italiano a mezzi diesel e benzina invenduti in nord Europa. Di fatto un regalo alle imprese che dipendono ancora da queste tecnologie, con impatti controproducenti per il futuro dei lavoratori e del Pianeta».
Quali vantaggi potrebbe portare un cambio di passo verso una mobilità davvero sostenibile?
«Supportare e investire nella mobilità elettrica, e in parallelo su trasporto pubblico e micro-mobilità, significare abbattere le emissioni di CO2 e fumi tossici inquinanti per la salute pubblica e creare nuove filiere industriali e occupazionali in Italia. Il rischio è di perdere competitività, produzione e posti di lavoro. La grande sfida dell’occupazione del settore dell’automotive si vince solo attraverso una gestione attiva e giusta della trasformazione, non rimandandola perché se no saremo sempre indietro a chi di noi ha investito prima come Cina e Germania. Occorre dunque affiancare alle politiche industriali per la mobilità sostenibile a zero emissioni processi inclusivi di creazione di alternative per ogni singola comunità e lavoratore affetto da questa trasformazione. Significa lavorare con sindacati, imprese e autorità locali per ripensare i sistemi di protezione (come ammortizzatori sociali e riduzione dell’orario di lavoro), formazione e creazione di nuovo valore di lungo termine e sostenibile».