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Grande Barriera Corallina, perché non è considerata “a rischio” per l’UNESCO?

La Barriera Corallina australiana sta subendo il quarto grande evento di sbiancamento in soli 6 anni

La Grande Barriera Corallina al largo delle coste dell’Australia, al quarto grande evento di sbiancamento in soli 6 anni, non è ancora entrata nella lista dell’UNESCO volta a riconoscere e proteggere i siti naturali “a rischio”. Il riconoscimento dello stato di salute della barriera corallina australiana e l’inclusione del sito tra quelli in pericolo sono stati infatti oggetto di discussione per molti mesi.

grande barriera corallina australia
Image by csharker from Pixabay

Perché la Grande Barriera Corallina australiana non è “a rischio” per l’UNESCO?

A fine marzo 2022 è stata organizzata una spedizione delle Nazioni Unite proprio per valutare lo stato di salute della Grande Barriera Corallina (GBC). E proprio in periodo è arrivata la conferma del fatto che la barriera sta subendo un altro sbiancamento di massa dei suoi coralli, il quarto negli ultimi 6 anni. Secondo uno studio pubblicato su Current Biology a novembre 2021, il 98% delle 3000 barriere coralline contenute nella GBC è stata interessata almeno una volta dal fenomeno dello sbiancamento. E prima d’ora il fenomeno non si era mai verificato durante il periodo de La Niña, ossia la fase “fredda” del ciclo che riguarda la temperatura dell’Oceano Pacifico equatoriale superficiale.

La relazione di tale spedizione è riservata e verrà esaminata dalla Commissione dei Siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, composta dai 21 Paesi membri alla 45° sessione, in programma dal 19 al 30 giugno a Kazan ma posticipata a data da destinarsi.

L’inserimento della Barriera Corallina nei siti UNESCO considerati “a rischio” permetterebbe di concentrare gli sforzi per preservarne la salute e limitare i danni della crisi climatica. Ricordiamo che la grande barriera corallina si estende per quasi 350 mila chilometri quadrati al largo della costa nord-est dell’Australia e ospita 400 tipi di corallo, 1500 specie di pesci e 4000 tipi di molluschi. Un ecosistema ricchissimo, che rischia di scomparire.

Il governo Morrison però minimizza

Le grandi manovre di lobbying del governo di Morrison lo scorso anno hanno impedito l’inserimento della Barriera corallina nell’elenco dei siti a rischio. Il governo ha anche fatto pressioni per alleggerire le parole contenute nel report dell’IPCC, sostenendo che la barriera corallina non sia ancora in pericolo. Secondo il governo, infatti, un intervento mirato e una gestione appropriata potrebbero da sole ridurre lo stress a cui è sottoposta la GBC. La mossa ha subito scatenato le proteste di ambientalisti e non, che hanno accusato il governo di non essere scientifico e di minimizzare i danni già causati dal riscaldamento globale per evitare altri tagli alle emissioni.

grande barriera corallina australia

Imogen Zethoven, direttrice del Blue Ocean Consulting e consulente per l’Australian Marine Conservation Society, ha detto al Guardian che l’evoluzione della GBC necessita di una azione urgente e che la mossa del governo per minimizzare la situazione è stata “non scientifica“. «Tramite l’IPCC, gli scienziati hanno detto che la Grande Barriera Corallina è in crisi, e ne hanno parlato approfonditamente nel report, ma il governo ha negato la crisi dei coralli della GBC e del resto del Mondo. Dire che i coralli non sono in pericolo è essere disonesti».

La negoziazione sui termini utilizzati nei report climatici è una prassi comune, ma denota chiaramente la posizione del governo sul tema. Invece d includerla nella lista dei patrimoni dell’umanità a rischio, il governo del premier Scott Morrison ha deciso di stanziare 630 milioni di euro (1 miliardo AUD) nell’arco dei prossimi 9 anni per «sostenere la salute della barriera corallina e il futuro economico degli operatori turistici e delle comunità del Queensland che sono al cuore dell’economia della barriera corallina».

Il piano prevede di dedicare più della metà dei soldi ai progetti per limitare l’erosione costiera, migliorare la terra e ridurre il deflusso di inquinanti. Un’altra importante quota sarà destinata alla Great Barrier Reef Marine Park Authority, per ridurre la pesca di frodo e frenare l’inserimento di specie dannose. Il resto verrà usato per la ricerca.

Qualche beneficio arriverà, ma questo intervento non risolve il problema alla radice. Secondo l’Australian Conservation Foundation, infatti, «senza azione sul clima la barriera è condannata»; e anche l’Australian Marine Conservation Society chiede al governo di «intensificare in modo drastico le ambizioni climatiche».

La posizione del governo australiano nei confronti della crisi climatica è piuttosto chiara. Il governo Morrison, ha infatti posto resistenza alla necessità di tagliare le emissioni anche alla Cop26, nonostante le pressioni nazionali e internazionali per aumentare l’obiettivo di ridurre del 26% le emissioni entro il 2030 rispetto ai valori del 2005. Le proiezioni al momento sono ottimiste e stimano un taglio effettivo di circa il 30-35% entro il 2030, ma il governo punta sulle nuove tecnologie, più che su un piano ben definito. Gli scienziati però hanno suggerito un taglio di almeno il 45% entro il 2030, per proseguire verso emissioni zero entro il 2050, ma il governo Morrison non intende metter mano ai piani climatici prima delle elezioni federali, che si terranno il 21 maggio.

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Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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