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Prevedere l’oceano: una scienza “giovane” dalle grandi potenzialità

La scienza delle previsioni oceaniche, raccontata dalla prof.ssa Nadia Pinardi: tra le maggiori esperte mondiali, ha contribuito significativamente alla nascita e allo sviluppo di questa disciplina

L’oceano è forse la più importante e la meno riconosciuta risorsa che rende possibile la vita umana. Grazie agli organismi che ospita, genera più della metà dell’ossigeno del nostro pianeta. Non solo, contiene 50 volte l’anidride carbonica presente in atmosfera e ha un ruolo estremamente importante nella sua regolazione. Tre miliardi di persone basano sull’oceano la propria sussistenza e l’oceano trasporta oltre il 90% del commercio mondiale. L’oceano regola il clima e il tempo meteorologico, tanto che più del 90% del calore in eccesso assorbito dal sistema climatico negli ultimi 50 anni è contenuto in esso: questo significa che, proprio grazie all’oceano, finora l’atmosfera è stata risparmiata dalla stragrande maggioranza delle conseguenze del riscaldamento globale. Ma il calore già assorbito negli oceani sarà a mano a mano rilasciato, condannando l’atmosfera ad ulteriore riscaldamento futuro.

Il comportamento degli oceani è dunque determinante per la società umana, ma l’oceano è anche estremamente fragile. Il riscaldamento in eccesso delle acque, ad esempio, ha già gravissime conseguenze sugli ecosistemi marini, soprattutto combinato con i problemi dell’acidificazione o dell’anossia (mancanza di ossigeno), e contribuisce all’aumento del livello del mare (l’oceano scaldandosi si espande e accelera la fusione delle calotte glaciali).

Non per niente, insomma, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2021-2030 “Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile”.  Le “Scienze del Mare” sono “scienze dell’uomo”, necessarie per la sua prosperità e salute.

In questo contesto – e nell’ambito della nostra rubrica “Professioni&Clima” – abbiamo intervistato la professoressa Nadia Pinardi, una delle maggiori esperte mondiali in ambito oceanografico. Laureata in fisica e con un dottorato in Fisica Applicata ad Harvard, è titolare oggi della cattedra di oceanografia fisica presso l’Università di Bologna, sua città natia, ed è membro, nonché presidente, di diverse commissioni scientifiche delle più importanti istituzioni internazionali in ambito meteorologico ed oceanografico.

“Il goal principale della mia ricerca è sempre stato quello di prevedere il tempo del mare: prevedere le correnti, la temperatura, la salinità, cioè le caratteristiche fondamentali fisiche, ma anche quelle geochimiche – la catena trofica e le sue componenti nell’acqua. La previsione in questo campo ha un suo specifico settore scientifico che è stato necessario rafforzare – se non creare – negli anni ‘80, quando completai il mio dottorato sulle prime due campagne oceanografiche (essenzialmente spedizioni in nave per prendere dati) che portarono ad una previsione.”

Di fatto, la professoressa Pinardi è stata protagonista della scienza delle previsioni oceanografiche portandola personalmente sin dai suoi albori ad essere oggi un sistema pienamente operativo ed utilizzato nel mondo. Ci ha raccontato la storia della disciplina dal suo punto di vista assolutamente unico, di chi l’ha vista (e fatta) crescere.

Ma cominciamo dall’inizio, da come la professoressa si è approcciata all’oceanografia:

“È stato casuale: il movimento ambientalista negli anni ‘70 era ancora agli albori. Ho studiato fisica per quello che veniva proposto dall’università, che non era certamente l’aspetto ambientale. Verso il termine del mio percorso di laurea, un professore illuminato mi disse: «perché non inizi ad occuparti di oceanografia? In Italia non abbiamo oceanografi». Mi sono detta «proviamo» e mi sono data un anno di tempo dopo la laurea durante il quale ho lavorato presso un gruppo di ricerca molto avanzato occupandomi inizialmente di risolvere un problema analitico (teorico), poi un problema di modellistica, dove il sistema veniva visto quasi realisticamente.

Capii che quest’ultima era la strada giusta: nel mio campo non bisogna mai perdere di vista la complicazione della geometria del sistema. Non è affatto irrilevante come può sembrare. Ad esempio, per studiare come si comporta in generale il flusso d’aria o di acqua dopo una montagna posso semplificarla; ma per fare una previsione che abbia un grado sufficiente di affidabilità è necessario tenere in considerazione anche i dettagli della montagna stessa.”

Per attuare le previsioni sono necessari dei modelli numerici: delle simulazioni della realtà eseguite da calcolatori.

“La parte numerica mi piaceva. Feci quindi domanda per il dottorato e fui ammessa ad Harvard e a Princeton. Scelsi Harvard ed ebbi la fortuna di trovarmi in un gruppo che faceva qualcosa che nessun’altro stava facendo: il forecasting dell’oceano. Un problema astruso per un fisico teorico (la specializzazione che avevo seguito durante la laurea): nella fisica teorica si prevedono nuove equazioni – si cerca di scrivere le equazioni che regolano i fenomeni –, noi invece usiamo le equazioni per attuare delle previsioni. Abbiamo bisogno di risolvere molto bene le equazioni che già conosciamo.”

Questo ambito della fisica, almeno, è insomma qualcosa che non corrisponde affatto alla percezione comune della fisica come materia astrusa e avulsa dalla realtà. È anzi concreto, tangibile, sensoriale e, come lo definisce la professoressa Pinardi, “galileiano”:

“Noi studiamo l’ambiente naturale. La scienza galileiana è nata dalla necessità di descrivere i fenomeni naturali in una maniera che fosse riproducibile. L’astronomia è estremamente simile alla scienza della Terra, anche se tratta scale di tempo diverse. Queste sono state le prime scienze: uscire da un laboratorio e fare delle misure è stato uno dei grandi step concettuali della scienza. L’ambiente naturale è stato il vero tavolo di prova delle teorie galileiane.

Lo sviluppo, l’industrializzazione, ha poi creato le macchine; ha modificato l’ambiente naturale. Lo sviluppo ci ha portato a creare esperimenti in laboratorio sempre più complessi dove studiare la fisica. Il nostro laboratorio è invece la natura e la difficoltà, come diceva Galileo, è proprio riuscire a fare delle misure in natura che siano riproducibili. Finché non abbiamo creato i modelli numerici, non abbiamo avuto l’ausilio di un laboratorio virtuale che garantisse tale caratteristica. Questa difficoltà ha fatto sì che la fluidodinamica geofisica non si sviluppasse insieme al resto della fisica, ma fosse recuperata solamente più tardi.

La scienza delle previsioni oceanografiche è nata quando Walter Munk collaborò con Eisenhower per stabilire il giorno dello Sbarco in Normandia: è stata necessaria una previsione delle onde. Fu questo il primo forecast riguardante l’acqua. Se le onde fossero state troppo alte, infatti, i mezzi utilizzati per sbarcare non sarebbero arrivati a riva.”

Simulazione delle correnti nel Mar Mediterraneo. Le più chiare sono le più superficiali. Fonte: NASA

Il sistema europeo di previsione dell’oceano – parte del Copernicus Marine Service – è però operativo solo da pochi anni: il lavoro dello scienziato è caratterizzato, insomma, da grande dedizione per il raggiungimento di obiettivi spesso lontani decenni.

“Ci vollero 40 anni. Quando tornai dall’America capii che non si poteva seguire la metodologia americana. Tale metodologia consisteva nel raccogliere tanti dati da utilizzare per costruire la condizione iniziale per piccole estensioni di oceano, effettuando poi delle simulazioni su tali aree limitate. Le misurazioni permettevano di ridurre l’incertezza sulla condizione iniziale della simulazione. In America Harvard, Scripps e Woods Hole hanno navi e personale per effettuare le misure; l’Italia aveva una sola nave per tutta la comunità oceanografica.

Per ridurre questa incertezza decisi allora, pensando ai satelliti e a misure autonome che sarebbero venute, di andare a scala più grande. La scala planetaria è più prevedibile di quella piccola, dove il peso dell’incertezza è maggiore: cominciai a modellare tutto il Mediterraneo. Nell’89 ottenni il primo progetto europeo per lo sviluppo di un modello che cominciammo ad elaborare per un periodo di sei anni, seguiti da altri tre anni in cui lavorai sul problema dell’assimilazione dati (l’incorporare le osservazioni all’interno delle simulazioni). Riuscimmo quindi a realizzare il secondo sistema al mondo di forecasting operativo che uscì nel ‘98: all’epoca solo la US Navy faceva un forecast; il loro era globale, mentre noi lo facevamo per il Mediterraneo. Da allora ci sono voluti più di 15 anni per costruire una vera e propria struttura operativa. Nel 2015 è finalmente stato lanciato il sistema Copernicus.”

Cosa permette di seguire con coraggio, si può dire, un percorso così lungo ed accidentato? Secondo la professoressa Pinardi è la consapevolezza delle motivazioni per cui si segue tale percorso.

“Io sapevo che non potevo seguire il percorso di Harvard dove, con tanti dati, si potevano studiare le dinamiche fondamentali dell’oceano. Decisi che per un certo ammontare di tempo era più importante costruire uno strumento di previsione, rispetto ad approfondire ciò che avevo studiato ad Harvard (l’energetica dei processi di mesoscala, l’instabilità baroclina…). O facevo quello o facevo le previsioni.”

Previsioni le cui applicazioni sono fondamentali e che si sono rivelate ancor più importanti oggi, alla luce dei cambiamenti climatici:

“Essendo il fluido non lineare, cioè con una molteplicità di scale che interagiscono continuamente fra di loro, l’unico modo per studiarlo è avere a disposizione lunghe serie temporali di dati il più possibile coerenti anche nello spazio. È quindi necessario avere un modello per studiare il tipo di interazioni che si possono verificare. Guardare solamente la serie temporale di una stazione in un punto non riesce a cogliere la complessità della struttura tridimensionale dei fluidi geofisici. Fare le previsioni permette di valutare la qualità del modello in modo unico: è l’unico vero test della teoria. Lo «mandi avanti» e poi verifichi con le misure se quanto previsto nel punto di misura fosse o meno giusto.

Il modello permette di ricostruire – e quindi studiare – l’oceano e il suo moto il più realisticamente possibile; è dunque necessario anche per ricostruire, studiare e prevedere il clima.

Infine, molti settori socioeconomici si sono sviluppati senza avere sufficiente conoscenza del mare. Stiamo procedendo verso una razionalizzazione di tali settori per lo sviluppo sostenibile, che deve tenere in considerazione l’impatto sull’oceano. La salvaguardia degli ecosistemi, l’acquacoltura e la pesca, l’ottimizzazione delle rotte delle navi, il tracking della plastica, il monitoraggio della qualità dell’acqua, il supporto alle operazioni di soccorso in mare: sono molti i campi in cui le previsioni oceanografiche possono essere utilizzate per rendere le attività economiche sostenibili.”

La professione dell’oceanografo e dello scienziato

Le previsioni oceanografiche sono quindi un ambito estremamente giovane che vanta ampie possibilità di sviluppo della ricerca e dell’applicazione. Il lavoro sui modelli numerici, oggi, è un misto fra comprensione delle leggi che descrivono i fenomeni, analisi dei metodi per semplificarle o per adattarle alla simulazione da parte di un supercomputer, e una massiccia dose di programmazione informatica. Si tratta di una specializzazione dell’oceanografia stessa, che può costituire il seguito di diversi percorsi universitari.

L’oceanografia comprende quattro settori: biologia, geologia, fisica e chimica. Ciascuno di questi settori può essere studiato a livello teorico e di modellistica numerica o in modo sperimentale, sviluppando le metodologie di misurazione – anche con tecniche robotiche – per fini esplorativi (ad esempio per mappare i fondali) o di monitoraggio. Oggi gruppi interdisciplinari mettono a punto modelli interdisciplinari. Il mio consiglio per un giovane interessato alla disciplina è quello di specializzarsi senza perdere di vista quello che è l’utilizzo della propria specializzazione all’interno di una strategia interdisciplinare dell’oceanografia. Ad esempio, diventare fortemente competenti nella fisica dell’oceano e, poi, studiare come questa vada in contatto con la parte biochimica. Oppure ancora molti miei studenti sono biologi che hanno poi intrapreso la strada della modellistica numerica.”

La strada del ricercatore può poi continuare all’interno dell’università o degli istituti di ricerca. Nadia Pinardi lavora in entrambi gli ambiti: all’Università di Bologna e al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), un importante ente di ricerca italiano. Entrambi gli ambiti si basano sul lavoro del ricercatore, che è però declinato in maniera differente:

“Lavorare in università significa decidere da soli cosa fare. L’università lascia un professore completamente libero di decidere la sua linea di ricerca. Prima, invece, come ricercatore, la libertà è ovviamente più limitata in quanto si è all’interno del gruppo di un professore.

Al contrario, al Cmcc le linee strategiche e di ricerca sono decise top-down, dalla direzione. Il Cmcc fa un lavoro infrastrutturale che l’università non può fare: sviluppare un nuovo modello o un nuovo sistema di monitoraggio. Sarebbero infatti necessari vent’anni di sviluppo e l’università non finanzia la ricerca di un professore così a lungo. All’università si fa un lavoro di ricerca “esplorativo”, dall’altra parte un lavoro di ricerca a livello di contributi infrastrutturali. Ci sono esempi dove si producono prototipi in università, ma non certo la messa a punto di un sistema completamente funzionante e di monitoraggio.”

La professione dello scienziato, poi, trova il suo cardine nell’essere totalmente svincolata da qualsiasi limite geografico o confine. È una carriera intrinsecamente internazionale, tanto che è tipico, soprattutto all’inizio della carriera, vivere e lavorare in molti paesi diversi. Ad alti livelli, addirittura, questa professione può arricchirsi di compiti che si avvicinano molto all’ambito delle relazioni internazionali:

“Il lavoro nelle commissioni internazionali è alla base del lavoro scientifico ed è carico di molte responsabilità nei confronti della società: bisogna cercare di essere inclusivi, di scoprire la diversità degli approcci invece che eliminarla. Conoscere la diversità e saperla gestire per raggiungere comunque ottimi risultati scientifici è qualcosa che si può fare solo con questi comitati internazionali. Sicuramente essi contribuiscono al dialogo e alla pace.”

Quello della ricerca scientifica, come abbiamo visto, è un percorso sfidante nei contenuti e negli obiettivi, ma anche nelle prospettive di carriera. Lo sa bene la professoressa Pinardi, che, nonostante i suoi successi e la sua autorevolezza, ha ottenuto la posizione di (professore) ordinario solamente pochi anni fa.

Non bisogna affliggersi sulla questione di fare carriera. Perché la carriera è difficile in ambito accademico, specialmente in Italia. Non mi sono sentita gratificata dalla mia carriera interna all’università, ma dalle numerose e ricche relazioni in tutto il mondo che ho coltivato nel tempo.”

Quel che è certo è che si tratta di un lavoro caratterizzato da un’enorme potenzialità di arricchimento che possiamo forse definire spirituale, nella sua capacità di unire la conoscenza della natura e dell’uomo:

“Ciò che mi rende più orgogliosa del mio lavoro è il fatto che ci siano oggi dei nuovi gruppi di ricerca nati intorno al forecasting. Il fatto che tanti giovani hanno oggi uno scopo nella vita molto simile, mi sembra, a quello che avevo io. È bello aver contribuito a qualcosa che ha creato lavoro e occupazione di alto livello.

È una soddisfazione avere tanti studenti che hanno – grazie alla scienza – una vita di alta qualità.”

Velocità delle correnti superficiali simulate da un modello ad alta risoluzione. Fonte: Cmcc

Elisa Terenghi

Nata a Monza nel 1994, mi sono laureata in Fisica del Sistema Terra presso l’Università di Bologna nel marzo 2019, conseguendo anche l’Attestato di formazione di base di Meteorologo del WMO. Durante la tesi magistrale e un successivo periodo come ricercatrice, mi sono dedicata all’analisi dei meccanismi di fusione dei ghiacciai groenlandesi che interagiscono con l’oceano alla testa dei fiordi. Sono poi approdata a Meteo Expert, dove ho l’occasione di approfondire il rapporto fra il cambiamento climatico e la società, occupandomi di rischio climatico per le aziende.

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