Geoingegneria climatica: la nostra ultima spiaggia? La lettera aperta degli scienziati
In una lettera aperta gli scienziati chiedono di fare ricerche accelerate ed esperimenti su piccola scala per comprendere meglio conseguenze ed effetti collaterali della geoingegneria come strumento per frenare il riscaldamento globale
Dal punto di vista teorico, tra le iniziative potenzialmente utili per limitare il riscaldamento globale c’è la geoingegneria, una procedura che potrebbe avere effetti positivi nel frenare la crisi climatica, ma che comporta grandi rischi ed effetti collaterali impossibili da prevedere.
Geoingegneria per il clima: la comunità scientifica è divisa
La comunità scientifica sta discutendo da anni sui benefici e sui rischi che la geoingegneria potrebbe avere sul clima: c’è chi pensa che sia una soluzione percorribile per spingere con più forza il piede sul freno rispetto all’aumento delle temperature, e c’è chi crede che sia troppo rischioso alterare artificialmente le dinamiche atmosferiche.
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Tra i punti a favore ci sarebbe evidentemente l’effetto “rinfrescante” sul clima e la velocizzazione del processo di chiusura del buco dell’ozono. Ma le conseguenze della geoingegneria sul clima globale potrebbero essere inaspettate e pericolose. Tra i grandi punti a sfavore espressi dalla comunità scientifica, oltre alle probabili alterazioni delle precipitazioni su scala locale e globale, c’è anche il rischio che, una volta tolta la “maschera” di questi aerosol, si abbia un ritorno improvviso ad un riscaldamento globale ancora più accelerato.
Nella comunità scientifica c’è chi chiede il non utilizzo della geoingegneria e chi invece chiede più studi e ricerche
Il dibattito scientifico sulle SAI, le Stratospheric Aerosol Injection, Una delle tecnologie di geoingegneria, per la prima volta è entrato anche nel rapporto quadriennale di valutazione del protocollo di Montreal sostenuto dalle Nazioni Unite. Un intero capitolo del rapporto parla proprio dei possibili benefici e rischi di tale pratica. E anche la “Solar Radiation Modification” viene citata dall’ultimo rapporto dell’IPCC.
Il confronto su questo tema è piuttosto polarizzante. In una prima lettera aperta, firmata da decine e decine di ricercatori e scienziati, veniva chiesta un’azione politica immediata da parte dei governi, delle Nazioni Unite e di altri attori per impedire la normalizzazione della geoingegneria solare come opzione di politica climatica. In questa lettera si chiedeva di stipulare un accordo internazionale di non utilizzo sulla geoingegneria solare.
Ma proprio in questi giorni è stata pubblicata un’altra lettera aperta, firmata da oltre 70 scienziati provenienti dal tutto il Mondo, in cui si chiede invece di approfondire con ricerche accelerate gli effetti della geoingegneria solare per arrivare ad una comprensione più approfondita dei benefici e degli effetti collaterali di tale pratica.
“La nostra speranza – spiega Sarah Doherty ricercatrice del dipartimento di Scienze dell’atmosfera dell’Università di Washington – è che la lettera favorisca un dialogo più fondato ed equilibrato tra la stampa e l’opinione pubblica su come la ricerca sugli interventi sul clima viene vista dagli scienziati del clima, e su come si inserisce nell’affrontare il rischio climatico. In particolare, vorrei davvero che le persone smettessero di confondere il sostegno alla ricerca per valutare obiettivamente gli interventi sul clima con il supporto per il loro utilizzo attivo“.
Tra gli scienziati ad aver firmato c’è anche Valerio Lembo, ricercatore del CNR-ISAC di Roma specializzato in analisi di modelli climatici e proiezioni climatiche, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.
Che cosa si intende per “geoingegneria”?
“La geoingegneria è un insieme di tecnologie che hanno lo scopo di controllare gli aspetti tipicamente radiativi e termodinamici del sistema clima. Esistono due gruppi di tecnologie di geoingegneria: la CDR (carbon dioxide removal) e SRM (solar radiation management). La prima ha come scopo quello di rimuovere i gas serra, in particolare l’anidride carbonica dall’atmosfera in modo da ridurre l’effetto serra, la seconda ha come scopo quello di irrorare l’atmosfera con delle particelle di aerosol che riflettono la radiazione solare entrante e quindi diminuendo il riscaldamento da parte del sole e, di riflesso, l’impatto dell’effetto serra.
All’interno del SRM esistono due macro-tipi di tecnologie, il primo che va a intervenire sulla stratosfera e l’altro sulla troposfera. Per certi versi, l’inseminazione di nubi, tecnologia non particolarmente nuova ed utilizzata nel tentativo di far precipitare in alcune zone, fornendo particelle di aerosol attorno a cui l’umidità si aggrega, rientra nell’ombrello di tecnologie di geoingegneria. In questo periodo però si parla di geoingegneria come tecnologie di mitigazione dell’effetto antropico dell’uomo sul clima, laddove non si riesce ad intervenire attraverso la riduzione delle emissioni”.
E’ appena stata pubblicata una lettera aperta, sottoscritta da 70 scienziati di tutto il Mondo, sulla necessità di ricerche accelerate nell’ambito della geoingegneria e di sperimentazioni su piccola scala. Lei ha deciso di firmarla. Come mai?
“La lettera aperta non esprime un sostegno alla tecnica di geoingegneria e in particolare del SRM. La lettera non dice di essere a favore di una tecnologia piuttosto che un’altra, ma dice che bisogna fare ricerca sull’argomento, dice che la ricerca deve essere aperta, che i dati devono essere disponibili a tutti e che qualsiasi decisione fatta in merito deve essere raggiunta in modo cooperativo, con il consenso di tutti gli Stati e prendendo in considerazioni tutte le implicazioni bio-etiche, geopolitiche, economiche, sociali che qualsiasi tecnologia come questa può causare.
Per esempio, la tecnologia geo-ingegneristica è mirata ad intervenire su un certo parametro: nello specifico ora si parla teoricamente di applicare la geoingegneria per mantenere la temperatura globale entro certi limiti, quelli prescritti dall’Accordo di Parigi. Tuttavia esistono diversi studi che dicono che anche se riusciamo a mantenere le temperature entro le soglie, si possono avere effetti su altri parametri, non voluti o impredicibili. Studi diversi approdano a risultati diversi. Alcune regioni potrebbero essere penalizzate, altre favorite. Chi decide quale rischio si può prendere in considerazione? E’ chiaro che non è un problema di facile soluzione, anche solo a livello politico.
Quindi il motivo per cui io ho deciso di firmare la lettera è proprio questo. Se dobbiamo finire a parlare di queste cose c’è bisogno di mettersi d’accordo su un protocollo di open science e soprattutto di decisione politica, etica e rappresentativa di tutte le popolazioni del Mondo”.
Nella comunità scientifica l’argomento resta molto divisivo e discusso. Secondo lei la geoingegneria solare potrebbe effettivamente dare una mano nella lotta al riscaldamento globale?
“No, infatti volevo precisare questo aspetto perché penso che non si sia capito appieno. Penso che la geoingegneria sia una pessima idea dal punto di vista etico, politico ed economico e, per certi versi, anche scientifico”.
Uno dei punti più criticati della geoingegneria è il rischio di togliere energia e risorse ad altre strategie di contrasto alla crisi climatica.
“Si indubbiamente. Le varie Conferenze tra le Parti che si sono tenute in particolare da Parigi in poi sono state un dilazionare una presa di decisioni fondamentali, una dopo l’altra, che ci stanno costringendo sempre più nell’angolo: le opzioni a nostra disposizione diventano sempre minori e sempre più drastiche, con impatti socio-economici sempre più importanti. Dato che, quindi, non è più un’opzione irrealistica il fatto di doverci ritrovare di fronte alla decisione drastica di intervenire con questo tipo di azione o andare incontro alla catastrofe climatica, è bene perlomeno dal punto di vista scientifico se affrontiamo il tema con la massima serietà e dovizia di particolari e approfondimenti, per essere eventualmente pronti nel momento in cui ci si trovasse di fronte a scelte così drastiche“.
Le principali voci della scienza del clima ad oggi non includono né escludono tali pratiche, tant’è che vengono anche citate nei report climatici insieme ai relativi rischi. Che risposta si aspetterebbe dalla comunità scientifica internazionale a questo punto?
“Questo è un tema molto divisivo, non si può negare che la comunità scientifica si divida su questo argomento. Mi aspetto che comunque lo spirito della cosa venga compreso: non stiamo facendo un endorsement di queste tecnologie, anzi. Stiamo dicendo: se dovessimo trovarci all’angolo è bene che ci facciamo trovare pronti, fermo restando che alcune risposte dal punto di vista scientifico già le abbiamo. Un conto è tenere sotto controllo la temperatura – che magari con le tecnologie disponibili è anche possibile -, un conto è capire quali sono le conseguenze di questi interventi su altri fattori. Per questo penso che sia una pessima idea. Sarebbe l’ultima spiaggia“.