Ghiacciai sotto stress, se continua così “le Alpi diventeranno come gli Appennini”
L'estate 2022 ha lasciato un profondo segno nei ghiacciai delle Alpi, e non basta un inverno nevoso per nutrirli: c'è bisogno di una "trasformazione meteo-climatica enorme". A fare luce sulla situazione e sulle prospettive future Serena Giacomin e il glaciologo Claudio Smiraglia
In quello che è forse l’anno peggiore per i ghiacciai delle Alpi a causa del caldo anomalo e prolungato, e della siccità che ormai ci accompagna da fine del 2021, è importante capire le dinamiche legate ai giganti bianchi, il loro ruolo per la società e le evoluzioni future a cui andranno – e andremo – incontro. A fare luce sulla situazione e sulle prospettive future Serena Giacomin e il glaciologo Claudio Smiraglia, i quali terranno un incontro sugli “Sconvolgimenti climatici” nell’ambito della 36^ edizione del Sondrio Festival.
Cosa sta succedendo ai ghiacciai delle Alpi?
“C’è una base di “feedback positivo“: più i ghiacciai si fondono – spiega Serena Giacomin, meteorologa di Meteo Expert, autrice per IconaClima e Presidente dell’Italia Climate Network – più a una superficie chiara (ghiacciata) si sostituisce una superficie scura (rocciosa), più si riduce l’effetto albedo (riflessione), più l’aria in montagna si scalda, e così via. Ma la vita, ossia il meccanismo di vita, del ghiacciaio non è un fenomeno molto conosciuto. Molti pensano che – dopo una stagione troppo calda – sia sufficiente una stagione più favorevole, con caratteristiche pienamente invernali, per risolvere una situazione critica. In realtà la sua vita è determinata innanzitutto da quanta neve riesce a sopravvivere durante la stagione estiva. E servono diverse stagioni estive in sequenza in cui la neve riesce a resistere per nutrire il ghiacciaio. Altrimenti, questo sistema rimane sempre in perdita”.
“Dal punto di vista atmosferico, è importante sottolineare che per la vita di un ghiacciaio non serve un freddo estremo. Serve che il caldo non sia estremo. Banalmente si potrebbero avere temperature sempre lievemente sempre sotto zero per non mandare in fusione il ghiacciaio. L’importante è che il caldo non sia estremo e non sia prolungato: questo è ciò che mette in crisi il sistema dei ghiacciai. E purtroppo è quello che abbiamo visto noi in queste estati di caldo estremamente prolungato: si tratta di un meccanismo che non fa altro che mettere i ghiacciai perennemente in condizioni di stress“.
“Siamo abituati a vivere e a vedere le nostre montagne in un determinato modo. Le montagne durante la stagione autunnale dovrebbero essere fradicie di acqua, o imbiancate dalla neve. Adesso sono completamente a secco. Inoltre – continua – avere uno zero termico molto elevato in questo periodo dell’anno traduce tutte le precipitazioni, che a quote medio alte dovrebbero essere nevose, in pioggia. Così anche il rischio idrogeologico diventa più elevato. Il rischio idrogeologico sul territorio alpino sta infatti aumentando anche per l’arrivo delle piogge, specie se intense, piuttosto che per l’arrivo della neve. Ad aggravare la situazione sono la fusione del permafrost e l’impermeabilizzazione della superficie quando è secca“.
La nostra economia e il nostro equilibrio socio-economico dipendono dall’esistenza dei ghiacciai. Bisognerebbe portare con le parole il ghiacciaio in pianura per far capire quanto effettivamente sia importante
Serena Giacomin
Perché lo stato di salute dei ghiacciai ci interessa da vicino?
“Bisognerebbe riuscire a portare con le parole il ghiacciaio in pianura, per far percepire quanto effettivamente sia importante. Costituiscono una parte fondamentale per le nostre attività, come l’agricoltura e la produzione di energia. La nostra economia e il nostro equilibrio socio-economico – spiega Giacomin – dipendono dall’esistenza dei ghiacciai. Tutti i sistemi socio-economici hanno sempre determinate caratteristiche in base al contesto climatico in cui si sono sviluppate. Se il contesto climatico cambia, il sistema automaticamente entra in stress. Noi siamo abituati a fare un utilizzo dell’acqua in base a quanta ne abbiamo avuta a disposizione negli ultimi secoli: se l’acqua che abbiamo a disposizione inizia a diventare minore, inevitabilmente il nostro sistema deve adattarsi. Ci sono Paesi del Mondo che hanno molta meno acqua di noi, e vivono con economie in grado di sostenersi ugualmente. Si sono però sviluppate in base a quella disponibilità di acqua. L’agricoltura, ad esempio, è di gran lunga il settore più idrovoro in Italia, con l’utilizzo del 70% dell’acqua dolce. Se questa disponibilità idrica viene a mancare, inevitabilmente il sistema agricolo così come lo conosciamo diventa insostenibile. E’ matematico“.
Ghiacciai delle Alpi: dopo la “terrificante” estate del 2022 un inverno nevoso non basta
Quest’anno è stato particolarmente difficile per i ghiacciai delle Alpi, cosa sta succedendo e come si inserisce nella tendenza del riscaldamento globale?
“Stiamo ancora aspettando i risultati generali di tutte le osservazioni fatte entro fine estate fatte dai vari gruppi di volontari e ricercatori che si occupano del problema. Quindi un dato complessivo ancora non c’è. Però dai primi dati che stanno arrivando – spiega il glaciologo Claudio Smiraglia – sicuramente è stata un’estate terrificante che ha superato per quanto riguarda la crisi dei ghiacciai direi, per molti ghiacciai visitati, tutte le situazioni precedenti. Solo per fare qualche esempio, il Gruppo del Gran Paradiso in Val d’Aosta e Piemonte, parlando di bilancio di massa, cioè la variazione fra lo spessore del ghiacciaio dalla fine dell’estate precedente a quest’ultima, abbiamo avuto dei valori di perdita di spessore superiore ai cinque metri, valore che non era mai stato registrato sin dall’inizio delle osservazioni. Quindi certamente è stata un’estate veramente drammatica. Lo stesso vale per le variazioni frontali”.
“Normalmente sui ghiacciai vengono eseguite due misurazioni: uno è la variazione di lunghezza. In questo ambito si misura l’arretramento o avanzamento del ghiacciaio, e questo viene fatto sin dalla fine dell’Ottocento. In questi ultimi anni noi abbiamo arretramenti costanti e anche di decine o centinaia di metri. Oggi ogni anno e ghiacciaio praticamente nella sua parte più bassa, cioè nella sua fronte, collassa continuamente, si aprono caverne, ci sono crolli. Per cui, per i ghiacciai più grandi che arrivano a quote più basse questi arretramenti si misurano anche in centinaia di metri o decine di metri”.
“L’altra misurazione è invece il bilancio di massa che è la variazione di spessore misurata ogni anno, che fino a qualche anno fa si aggirava in media su mezzo metro all’anno, e quest’anno supera sicuramente i due metri o i tre metri di spessore. Quindi sono nati veramente anomali che proseguono una serie che è continuamente negativa. Questa è una cosa che bisogna certamente ricordare”.
“Questo sta avvenendo un po’ su tutte le Alpi italiane, basta guardarle, ma anche sul resto delle montagne del mondo. Già all’inizio dell’estate su gran parte dei ghiacciai non c’era più neve dell’inverno, o ce n’era pochissima, e la neve è ciò che alimenta il ghiacciaio. La neve viene compressa, trasformata in ghiaccio e trasportata verso valle dal flusso glaciale. Quindi avere i ghiacciai già ad inizio-metà estate senza quel minimo di copertura nevosa dell’inverno, che si sta trasformando in ghiaccio, è un indice veramente negativissimo”.
Una situazione come questa che stiamo vivendo in queste ultime decine di anni, purtroppo, prima di cambiare ha bisogno veramente di una trasformazione meteo-climatica enorme. Ci dovremo aspettare fra qualche decennio un paesaggio delle Alpi simile a quello degli Appennini.
Claudio Smiraglia
Nel ciclo di vita di un ghiacciaio, quello che sta succedendo non è risolvibile in breve tempo. Come si nutre un ghiacciaio?
“Non dobbiamo pensare che se ci fosse un inverno molto nevoso il ghiacciaio si riprenderà completamente – spiega Smiraglia –. Ecco poi, cosa vuol dire che un ghiacciaio si riprende e che si rimette in salute? Vuol dire che aumenta di spessore, aumenta di velocità e trasferisce velocemente questa massa verso valle e quindi si allunga. Questo tempo dipende da due fattori principali: uno è quant’è il cambiamento a livello meteo-climatico. Se ho solo un’estate fresca dopo un inverno nevoso, avrò un po’ più accumulo nevoso nella parte alta del ghiacciaio, ma non basta perché il ghiacciaio si riprenda“.
“L’altro aspetto e la dimensione dei ghiacciai. Per i ghiacciai più grandi in Italia possiamo pensare all’Adamello, ad esempio. I ghiacciai grandi che avevamo fino a qualche anno fa sulle Alpi ormai non sono più tali. Fino a una decina di anni fa avevamo tre ghiacciai superiori ai dieci chilometri quadrati: l’Adamello, i Forni sull’Ortles Cevedale e Miage sul Monte Bianco. L’Adamello si era appiattito enormemente, il ghiacciaio di Forni non esiste più perché ora è spaccato in tre pezzi, e questo contribuisce certamente a indebolirlo”.
“Di fatto un ghiacciaio grande ha un bisogno di tempo di risposta molto maggiore perché si riprenda, addirittura anche decine di anni. Ai ghiacciai più piccoli, quelli di un chilometro quadrato o anche meno, bastano pochi anni. Però una situazione come questa che stiamo vivendo in queste ultime decine di anni, purtroppo, prima di cambiare ha bisogno veramente di una trasformazione meteo-climatica enorme. Cioè dovrebbe nevicare almeno sette-dieci metri per più inverni di fila, con un abbassamento della temperatura estiva di un grado. Sono dati questi che andrebbero comprovati, ma sicuramente non basta inverno nevoso e un’estate fresca”.
Il permafrost sta sgretolando le nostre montagne: cos’è e come sta reagendo all’aumento delle temperature?
“Si tratta di un fenomeno che si sta purtroppo intensificando. Teniamo conto che da noi, in Italia, si è parlato sempre poco di permafrost, si è studiato poco: abbiamo iniziato a farlo dopo il 2003, la famosa estate calda, anche se meno calda dell’ultima che abbiamo vissuto, anno in cui si è notato un incremento della franosità in alta montagna. Quindi si sono cominciati a fare altri studi, ad esempio inserendo termometri nella roccia ad alta quota”.
“Il permafrost non è altro che il gelo che tiene insieme le rocce ad alta quota – spiega Smiraglia – e che quindi esiste da una quota va dai 3000-3500 metri in su, in funzione dell’esposizione. L‘incremento delle temperature provoca una maggiore penetrazione dell’energia termica nella roccia, e il permafrost presente chiaramente fonde. Viene quindi a mancare questo collante che tiene insieme le rocce, e soprattutto incrementano i passaggi gelo-disgelo: col gelo la temperatura si abbassa si forma il ghiaccio e aumenta di volume. Con il disgelo chiaramente questo ghiaccio viene meno e quindi, mancando il collante, la roccia fratturata cade. Questo è un fenomeno che stiamo osservando ormai su tutte le montagne d’alta quota. In alcuni casi, come per il Cervino, addirittura sono state tante fatte ordinanze dai sindaci per chiudere e impedire le ascensioni. Si è osservato proprio l’incremento della caduta di sassi e di frane: questo è un fenomeno che continuerà, ed è il più pericoloso nella frequentazione della montagna”.
In alcuni scenari si stima che i ghiacciai sotto i 3500 metri scompariranno entro il 2050, mentre potremmo scomparire del tutto entro il 2100. Questi scenari, da sempre descritti come apocalittici o quasi impossibili, potrebbero risultare però quasi ottimistici. Cosa ne pensa?
“Direi che è così. Lo scienziato non è un mago capace di predire il futuro. Per questo usiamo il termine “scenari”, vuol dire che si fanno una serie di ipotesi, sia di tipo naturale che antropico. Se continueremo ad emettere CO2 o gas serra con questi ritmi, la temperatura potrebbe aumentare, si diceva all’incontro di Parigi, di più di due gradi entro pochi decenni. Se invece sapremo ridurre le emissioni, la temperatura media aumenterà di 1.5 gradi. Quindi se succederà un disastro, un dramma a livello virologico o bellico, ad esempio, cosa succederà al clima? Facciamo una serie di ipotesi basate su varie possibilità. Questo ci porta a dire che se quindi noi continueremo a crescere a dismisura come popolazione umana, continueremo ad emettere CO2 e non interverremo massicciamente nel ridurre le emissioni, avremo un incremento di temperatura entro metà-fine secolo di oltre due gradi. Questo certamente comporterà la quasi totale eliminazione, l’estinzione dei ghiacciai delle Alpi al di sotto della quotadi 3000-3500 metri circa. Quindi, vedendo che sta succedendo in questi ultimi anni è sicuramente un’ipotesi non più impossibile”, spiega Smiraglia.
“Del resto gli studiosi, ma non solo, anche le persone che frequentano la montagna, persone della mia generazione, oggi osservano dei ghiacciai, un ambiente alpino che 30-40 anni fa era quasi inimmaginabile. Faccio continuamente un esempio, non è scientifico ma che rende l’idea: ci dovremo aspettare fra qualche decennio un paesaggio delle Alpi simile a quello degli Appennini, bellissime montagne ma prive di quel fascino che danno i ghiacciaio. Quindi certamente non sono ipotesi da sottovalutare”.
Ghiacciai al centro dell’incontro alla 36^ edizione del Sondrio Festival
La relazione tra clima e ghiacciai delle Alpi sarà al centro dell’intervento di Serena Giacomin e Claudio Smiraglia, in programma venerdì 4 novembre nell’ambito della 36^ edizione del Sondrio Festival, rassegna internazionale dedicata principalmente ai documentari naturalistici, di alto livello scientifico e cinematografico, realizzati nei parchi naturali e aree protette di tutto il mondo.
Il Festival ha come obiettivo la diffusione della cultura dei parchi, delle aree protette e della salvaguardia dell’ambiente, l’educazione ambientale e la promozione/valorizzazione del documentario naturalistico. Il programma del Festival, della durata di 9 giorni (dal 29 ottobre al 6 novembre), si articola in proiezioni, laboratori, incontri e conversazioni con importanti personalità del mondo scientifico e del settore, professori, divulgatori scientifici e giornalisti.
Venerdì 4 novembre è in programma l’intervento sugli Sconvolgimenti climatici in atto con Serena Giacomin, meteorologa di Meteo Expert, autrice per IconaClima e Presidente dell’Italia Climate Network, e il Glaciologo Claudio Smiraglia, Professore ordinario fuori ruolo di geografia fisica presso l’Università Statale di Milano, già Presidente del Comitato Glaciologico Italiano, socio onorario del Club Alpino Italiano, e parte del Comitato Scientifico della MIDOP.