Rapporto sul clima globale, parte I: il 2020 fra i 3 anni più caldi mai registrati
Il nuovo rapporto sul clima globale nel 2020 è stato pubblicato dalla World Meteorological Organization (WMO), mostrando come il 2020, nonostante gli impatti della pandemia e il raffreddamento della superficie oceanica del pacifico equatoriale, conosciuto come fenomeno climatico chiamato la Nina, è rientrato fra i tre anni più caldi della storia mai registrati.
Nel 2020, nonostante la riduzione nelle emissioni dei gas climalteranti legate al crollo del traffico e delle attività dovute ai lockdown e la limitazione nella circolazione delle persone, le concentrazioni dei tre principali gas serra – ovvero anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e ossido di diazoto(N2O) -hanno continuato la loro salita raggiungendo rispettivamente il +148%, +260% e +123% rispetto i livelli pre-industriali. Secondo il MET OFFICE britannico il livello di anidride carbonica nel 2021 dovrebbe proseguire il suo trend di crescita e raggiungere entro fine maggio il valore record di circa 420 parti per milione (ppm).
Con questi valori nemmeno l’evento ciclico della Nina, che consiste in un esteso raffreddamento delle acque superficiali del Pacifico equatoriale e dovrebbe favorire una diminuzione delle temperature globali atmosferiche, ha evitato al 2020 di essere comunque uno tra i 3 anni più caldi mai registrati nella storia.
La temperatura è stata di circa +1.2°C superiore a quella registrata nel periodo pre-industriale (1985-1900), molto vicina all’1.5°C considerata la soglia critica, oltre la quale gli impatti climatici sulla civiltà potrebbero essere devastanti.
Per calcolare il “surriscaldamento” del clima del pianeta, i ricercatori si basano sui dati di 5 autorevoli fonti di enti di ricerca o progetti: NOAA, programma COPERNICUS dell’ESA, NASA, il MET OFFICE britannico e la JAPAN MET AGENCY. Tuttavia preme sottolineare come non sia tanto l’anomalia positiva di un singolo anno a preoccupare, ma bensì il fatto che l’ultima decade sia stata la più calda mai registrata.
Più del 90% di questo calore in eccesso che ha caratterizzato le ultime decadi è stato immagazzinato negli oceani. Esso è misurato attraverso un indicatore specifico chiamato Ocean Heat Content (OHC) che ha mostrato un sostenuto aumento in particolare negli ultimi due decenni, a tutte le profondità oceaniche, raggiungendo il valore più alto mai registrato, proprio nel 2020.
Il rapporto sul clima della WMO sottolinea come l’aumento delle temperature non sia distribuito omogeneamente sull’intero pianeta. Infatti, dal 1980 la temperatura superficiale dell’aria a latitudini polari ha subito un innalzamento almeno due volte superiore rispetto alla media dell’intero globo. Questo ha favorito il costante declino della calotta groenlandese, dei ghiacciai presenti oltre il circolo polare artico e della banchisa artica che ha raggiunto la seconda minore estensione di sempre dall’inizio delle registrazioni iniziate nel 1979.
Inoltre, grazie ai dati raccolti gli scienziati hanno fatto notare come negli ultimi due anni, la regione settentrionale della Siberia sia stata la zona maggiormente colpita da anomalie positive che hanno superato i +5 gradi di media.
Tuttavia, la maggior parte dei ghiacciai di tutto il mondo, sebbene colpiti da anomalie termiche minori, ha concluso il bilancio di massa in negativo anche nell’anno trascorso, che si è classificato tra gli 8 anni con la maggior perdita di ghiaccio terrestre.
Complessivamente, il calore accumulato dagli oceani ha favorito negli ultimi decenni la loro espansione termale, che insieme al continuo apporto di acqua di fusione dai ghiacciai e dalle calotte glaciali hanno portato ad un tasso di aumento del livello medio dei mari negli ultimi vent’anni di oltre 3 mm l’anno, raggiungendo il valore più alto mai registrato proprio nel 2020.
Per chi fosse interessato, il report può essere scaricato a questo link.
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