Nelle ricerche online sulla crisi climatica, 1 pubblicità su 5 è delle compagnie fossili
Il rischio è alto, avvertono i ricercatori: le risorse che le persone ricevono quando cercano di informarsi sulla crisi climatica sono influenzate da «gruppi che hanno un interesse nell’utilizzo dei combustibili fossili»
Quando si cercano informazioni su Google è piuttosto frequente che tra i risultati proposti dal motore di ricerca compaiano inserzioni a pagamento, e questo succede anche con le ricerche relative alla crisi climatica e a diverse tematiche correlate. Focalizzandosi in particolare sui risultati proposti con termini di ricerca legati alla crisi climatica, una recente analisi ha fatto emergere una precisa strategia di greenwashing.
Ogni cinque annunci a pagamento, più di uno è stato sponsorizzato da aziende di combustibili fossili o altre realtà che hanno forti interessi in questo ambito.
La ricerca è stata condotta dal quotidiano britannico Guardian e dal think tank indipendente InfluenceMap, che si occupa proprio di far luce su come facciano lobby le industrie inquinanti.
Gli esperti hanno analizzato gli annunci pubblicati da Google “in risposta” alle ricerche di 78 termini legati al clima. In tutto, il motore di ricerca ha proposto oltre 1.600 pubblicità, e tra queste oltre un quinto era stato inserito da società con forti interessi nell’ambito dei combustibili fossili. Le società, insomma, che hanno una grossa fetta di responsabilità nella crisi climatica in atto.
E oggi pagano perché chi cerca informazioni sul clima visualizzi tra i primi risultati che trova su Google i loro annunci, presentati oltre tutto con un aspetto che può renderli piuttosto difficili da riconoscere, specialmente per occhi inesperti o per chi seleziona la prima opzione senza pensarci troppo: le pubblicità sono quasi del tutto identiche agli altri risultati di ricerca, con l’eccezione solo di una piccola scritta (“annuncio”, nella versione italiana) che compare sopra il titolo.
Il rischio è quello di “greenwashing endemico“, avvertono gli esperti: come spiega l’analista Jake Carbone di InfluenceMap, le risorse che le persone ricevono quando cercano di approfondire queste tematiche sono influenzate da «gruppi che hanno un interesse nell’utilizzo continuato dei combustibili fossili» e pagano Google.
Dopo aver contestato a lungo le verità scientifiche relative alla crisi climatica, spiega il ricercatore, il settore del petrolio e del gas ora «cerca di influenzare a suo favore le discussioni pubbliche sulla decarbonizzazione».
A inserire gli annunci sono numerosi produttori di combustibili fossili e i loro finanziatori: tra i primi 20 inserzionisti nei termini di ricerca analizzati ci sono i giganti del fossile ExxonMobil, Shell, e Aramco, ma anche la società di consulenza McKinsey e Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi del mondo.
Un portavoce di Google ha assicurato che il colosso è impegnato nella lotta alla crisi climatica, sottolineando in particolare la recente introduzione di una nuova politica che vieterà gli annunci che promuovono la negazione del cambiamento climatico.
Secondo gli esperti, però, c’è bisogno di un intervento netto a livello più alto. Il greenwashing «è diventato endemico», ha commentato con il Guardian l’avvocato Johnny White dell’organizzazione ambientale ClientEarth: «per eliminarlo serve legiferare sul divieto di tutte le pubblicità sui combustibili fossili, proprio com’è successo con il tabacco».
L’approfondimento completo del Guardian è disponibile a questo link.
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