Biodiversità, ultima chiamata? A dicembre l’incontro per un nuovo accordo globale
In 50 anni abbiamo perso circa il 70 per cento della fauna selvatica, e secondo alcuni esperti è iniziata la sesta estinzione di massa. Per cambiare rotta sarà cruciale la COP15, la Conferenza sulla Biodiversità che a dicembre dovrebbe portare a un accordo globale per proteggere la natura. Al momento, però, le premesse non sono delle migliori
Dopo le Climate Stripes – le “strisce climatiche” elaborate dal climatologo Ed Hawkins per mostrare in modo immediato l’aumento delle temperature – le Nature Stripes lanciano l’allarme sulla perdita di biodiversità.
Le ha ideate il professor Miles Richardson, che utilizzando i dati del Living Planet Index del Wwf è riuscito a mostrare come la biodiversità sia calata (crollata!) dal 1970 a oggi.
Un dato drammatico, che emerge chiaramente dal colore delle strisce mentre si passa da un verde acceso al grigio: le popolazioni di animali selvatici sono calate in media del 69% dal 1970.
Biodiversity is in decline.
We need to talk about this more.
Nature stripes by @findingnature: https://t.co/nGVUOolbkW pic.twitter.com/DXn9HwcTqb
— Ed Hawkins (@ed_hawkins) October 24, 2022
A dicembre la COP15, la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità
Come la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici organizza annualmente la Conferenza delle Parti sul clima (manca pochissimo alla prossima, la COP27, ospitata a novembre dall’Egitto), la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) riunisce periodicamente i leader del mondo per fare il punto sulla biodiversità e – si spera – fare passi avanti sulla sua protezione.
Anche in questo caso si parla di COP, Conferenze delle Parti. Per quanto riguarda la salvaguardia delle specie, in particolare, ogni 10 anni alle COP sulla biodiversità si punta a stilare nuovi obiettivi per il decennio seguente.
L’ultimo appuntamento è stato nel 2010 in Giappone, quando alla COP10 di Nagoya i leader hanno assunto l’impegno di dimezzare la perdita di habitat naturali ed espandere le riserve al 17 per cento della superficie terrestre del pianeta entro il 2020. Nessuno degli obiettivi è stato centrato.
A rallentare ulteriormente i lavori è intervenuta anche la pandemia, che ha fatto slittare l’incontro per gli obiettivi del prossimo decennio per ben due anni: l’appuntamento è ora per dicembre 2022, con la COP15.
La conferenza inizierà il 7 dicembre e durerà per due settimane: sarà ospitata dal Canada a Montreal. La presidenza tuttavia è cinese: il vertice avrebbe dovuto svolgersi a Kunming, ma è stato spostato dopo numerosi rinvii e per la difficoltà di ospitare un evento di queste dimensioni nell’ambito della politica zero-covid di Pechino.
Un momento cruciale per la biodiversità: punti chiave e criticità della COP15
La vita sulla Terra sta attraversando un momento decisamente difficile, al punto che secondo alcuni scienziati siamo entrati nella sesta estinzione di massa nella storia del nostro Pianeta e stiamo assistendo alla più grande perdita di vita dai tempi dei dinosauri. Proteggere specie ed ecosistemi è fondamentale per salvare non solo la natura ma anche l’umanità che – anche se spesso tendiamo a dimenticarcelo – dalla natura dipende per sopravvivere.
Secondo gli esperti le principali minacce per la biodiversità dipendono dalle attività umane, e soprattutto dall’uso che facciamo del suolo e del mare, dallo sfruttamento delle risorse naturali, dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dall’introduzione di specie aliene invasive. Anche se dovessimo interrompere la nostra opera di distruzione all’improvviso, secondo gli scienziati ci vorrebbero dai 5 ai 7 milioni di anni perché il mondo naturale possa riprendersi.
Per questo abbiamo assolutamente bisogno di agire, in modo efficace e rapido, e la prossima Conferenza sulla Biodiversità sarà un momento cruciale. Il vertice dovrà infatti definire il piano strategico globale per il prossimo decennio, il post-2020 global biodiversity framework, mettendo a punto una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2030. Tra i punti chiave che verranno discussi a Montreal c’è la riduzione dell’attuale tasso di estinzione del 90 per cento, ma anche l’eliminazione dell’inquinamento da plastica, lo stop ai sussidi governativi dannosi per l’ambiente, la riduzione di due terzi dell’uso di pesticidi e il dimezzamento del tasso di introduzione di specie invasive.
Le premesse non sono delle migliori
Finora la diplomazia ha dimostrato di andare a rilento: nei mesi scorsi si sono svolti degli incontri intermedi verso la COP15 che non sono stati in grado di segnare passi avanti significativi. Secondo diversi esperti è alto il rischio che questa situazione di stallo non venga superata neppure a Montreal.
Come succede ai negoziati sul clima, anche i colloqui sulla biodiversità sono minacciati da forti divisioni tra le nazioni più ricche e quelle più povere, che affermano di aver bisogno di maggiori finanziamenti per proteggere la natura e sviluppare le proprie economie in modo meno distruttivo.
Tra i punti più critici c’è anche la questione delle aree protette: molti ritengono che siano fondamentali per tutelare le zone più vulnerabili e preziose del pianeta, e si punta al cosiddetto obiettivo 30×30, che prevede di proteggere il 30 per cento della terra e del mare entro il 2030. Le aree protette sono però considerate da alcuni una minaccia per le popolazioni indigene che abitano i territori coinvolti. Tra le organizzazioni che si oppongono a questa misura c’è Survival International, secondo cui istituire aree protette nel 30 per cento del pianeta non avrebbe effetti su chi è maggiormente responsabile della crisi ecologica e climatica ma avrebbe conseguenze negative su indigeni e altre popolazioni locali del Sud del mondo: «cacciarli dalla loro terra per creare Aree Protette non aiuterà il pianeta – avverte il movimento -: i popoli indigeni sono i migliori custodi del mondo naturale e una parte essenziale della diversità umana, che è una delle chiavi per proteggere la biodiversità».
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