A che punto siamo con la finanza climatica
Se ne parla da anni, ma finora si è fatto troppo poco. Adesso è più urgente che mai vedere passi avanti concreti
Quella della finanza climatica è sicuramente una delle tematiche più complesse e divisive quando si parla degli impegni e delle politiche relative al clima, e in particolare nell’ambito della cooperazione internazionale. Ma è anche uno dei punti su cui è più urgente fare dei passi avanti.
Finanza climatica, le questioni chiave
• I 100 miliardi di dollari all’anno che i “paesi sviluppati” avrebbero dovuto stanziare entro il 2020
Sotto questo aspetto siamo praticamente fermi al 2009. È stato alla COP15 che si è svolta quell’anno a Copenaghen che i cosiddetti paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per aiutare le nazioni più bisognose ad affrontare la crisi climatica.
A oggi l’obiettivo dei 100 miliardi all’anno non è ancora stato raggiunto. Secondo i dati più recenti disponibili, resi noti dalla Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) nello scorso autunno, nel 2019 si era arrivati a mobilitare 79,6 miliardi di dollari.
Nel frattempo è diventato sempre più evidente che sarebbero necessarie somme ben più elevate (parliamo di trilioni di dollari) per mettere in atto una transizione davvero pulita e giusta e costruire un futuro più resiliente.
Il mancato stanziamento dei finanziamenti promessi ha ovviamente delle conseguenze sulle capacità dei paesi più fragili di far fronte alla crisi climatica. Ma ha ripercussioni anche sulle possibilità della diplomazia del clima di raggiungere traguardi significativi sotto altri punti di vista.
A entrare in crisi, infatti, è il rapporto di fiducia che si basa sulla solidarietà internazionale e sulla giustizia di riconoscere il dovere dei paesi più sviluppati – che hanno una maggiore responsabilità storica nella crisi climatica in atto – di supportare le nazioni meno ricche, che hanno contribuito molto meno alle emissioni che negli ultimi decenni ci hanno portato a questo punto ma si trovano a pagarne tutte le conseguenze.
A che punto siamo
Con il Glasgow Climate Pact, l’accordo finale redatto alla COP26 del 2021, i paesi ricchi si sono impegnati a stanziare i 100 miliardi il prima possibile e a mobilitare una cifra che sia almeno pari a questo importo ogni anno fino al 2025.
I segnali arrivati finora lasciano presagire che, in realtà, anche per quest’anno non si centrerà l’obiettivo: dall’ultimo vertice del G7 sul clima, che si è svolto a Berlino alla fine di maggio, è emerso l’impegno a raggiungere la quota entro la fine del 2023.
• Loss and Damage, i fondi per far fronte a danni e perdite
Si tratta di una delle questioni più difficili sul tavolo dei negoziati. Le nazioni cercano da anni di definire dei meccanismi specifici per compensare i paesi e le comunità che devono affrontare danni e perdite a causa della crisi climatica.
Jacopo Bencini, Policy Advisor dell’Italian Climate Network, di recente ha spiegato con un efficace paragone che non si tratta di un concetto del tutto nuovo.
«Storicamente si è parlato di perdite e riparazioni a seguito di conflitti tra Stati, con un vincitore (o una coalizione vincente) che quantifica economicamente le perdite delle varie parti in conflitto e determina riparazioni di guerra, ossia trasferimenti monetari o in beni equivalenti a quanto si è stimato di aver perduto nel corso del conflitto».
«Immaginare di applicare questo principio alle perdite dovute agli eventi estremi legati al cambiamento climatico – osserva Bencini – può non apparire del tutto inusitato osservando dati e studi ormai comprovati sulle responsabilità storiche ed emissive di alcuni Paesi rispetto ai disastri che oggi affliggono i più vulnerabili».
I paesi più vulnerabili hanno chiesto che si istituisse una sorta di struttura ufficiale che coordini le attività sul tema, ma al momento non si è ancora visto nessun passo avanti concreto. L’accordo finale della COP26 si è limitato a lanciare dei “dialoghi” che si sarebbero svolti nei successivi due anni per approfondire la questione.
Il primo di questi momenti d’incontro è in programma per questi giorni a Bonn, in Germania, dove sono in corso i negoziati intermedi organizzati dall’UNFCCC verso la COP27, che si svolgerà a novembre in Egitto.
• Altri finanziamenti sul piatto: i fondi per l’adattamento
Oltre al tema dei 100 miliardi, i delegati alla COP26 hanno preso degli impegni relativi anche ad altri finanziamenti dedicati all’adattamento alla crisi climatica, ovvero alle misure da attuare per far fronte agli impatti ormai inevitabili.
Ai paesi sviluppati si è chiesto di raddoppiare, “almeno”, il loro supporto alle misure di adattamento entro il 2025 rispetto ai livelli del 2019. Secondo le stime si dovrebbe arrivare a circa 40 miliardi di dollari all’anno.
Purtroppo la cifra non basterà a soddisfare i bisogni reali dei paesi più vulnerabili, ma se l’impegno verrà rispettato si tratterà comunque di un passo avanti significativo, e si spera che possa rappresentare un incentivo ad alzare ulteriormente l’asticella dell’ambizione nei prossimi negoziati.
Finanza climatica centrale alla COP27
Dopo i negoziati in corso a Bonn, il prossimo importante appuntamento con la diplomazia del clima è in programma per novembre, quando leader e delegazioni di tutto il mondo si riuniranno in Egitto per la COP27.
Secondo quanto si può già leggere tra gli obiettivi individuati dalla Presidenza della COP27, la finanza climatica è stata individuata come una «questione cruciale» nei negoziati di novembre. «L’importanza dell’adeguatezza e della prevedibilità dei finanziamenti per il clima è fondamentale per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi – si legge in una nota -: a tal fine è necessaria una maggiore trasparenza dei flussi finanziari e un accesso facilitato per soddisfare le esigenze dei paesi in via di sviluppo».
Lo ha ribadito di recente anche la ministra egiziana per la Cooperazione Internazionale, Rania Al Mashat: in cima all’agenda della Conferenza dovrà esserci proprio la finanza climatica, ha spiegato, sottolineando l’urgenza di passare all’azione anche da questo punto di vista.
«Vogliamo che questa COP sia il passaggio dagli impegni all’attuazione», ha detto Al Mashat in un’intervista rilasciata al giornale britannico The Guardian, spiegando che finora il passaggio all’atto pratico dopo gli impegni presi è andato a rilento. I negoziati dovranno «riguardare gli aspetti pratici», ha detto: «cosa dobbiamo fare per rendere operativi gli impegni presi?».
Tra le priorità evidenziate dalla ministra in materia di finanza climatica c’è anche l’esigenza di creare una maggiore sinergia tra i finanziamenti pubblici e il capitale privato.