Incendi in Amazzonia, quest’anno potrebbe essere ancora peggio del 2019
E l'impatto degli incendi sulla salute delle persone è reso ancora più grave dall'emergenza Coronavirus
Prosegue in Amazzonia la stagione degli incendi, e i dati che arrivano dal polmone della Terra sono allarmanti: dopo un 2019 tragico per gli ettari di preziose foreste che sono andati in fiamme, quest’anno le cose potrebbero andare perfino peggio.
Lo hanno reso noto i ricercatori del Chain Reaction Research, che hanno realizzato uno studio da cui – grazie alla sovrapposizione delle mappe delle aree che l’anno scorso sono state colpite dagli incendi con quelle delle zone di approvvigionamento dei principali produttori di carne e soia in Amazzonia – emerge anche come i roghi abbiano interessato maggiormente le aree intorno ai silos delle grandi aziende che commercializzano soia o carne. I ricercatori hanno così dimostrato, ancora una volta, come gli incendi che si verificano in Amazzonia siano legati alla deforestazione portata avanti per favorire l’agricoltura, la produzione e l’esportazione di materie prime.
Lo conferma anche Greenpeace Brasile, che di recente ha spiegato come i taglialegna illegali e coloro che occupano abusivamente le terre dell’Amazzonia approfittino della stagione estiva, calda e secca, per impadronirsi di nuovi territori. Dopo aver compromesso vaste aree con il disboscamento illegale, i taglialegna e coloro che vogliono accaparrarsi il terreno danno fuoco alle zone degradate per “liberarle” di quanto resta della vegetazione, riducendo in cenere ogni traccia della foresta preesistente. Così «possono avviare attività economiche, come l’allevamento di bestiame», denuncia Greenpeace Brasile.
L’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ha reso noto che all’inizio del 2020 la deforestazione è cresciuta del 55% rispetto al 2019, e che nel 50 per cento dei casi sono state colpite aree pubbliche o protette.
Le pressioni internazionali e le mosse del governo Bolsonaro
A metà luglio il governo brasiliano ha emanato un decreto che vieta la combustione nella foresta amazzonica e nelle zone umide del Pantanal per rispondere all’emergenza incendi, o più verosimilmente alle pressioni internazionali.
Ritenuto responsabile di un indebolimento delle norme a protezione dell’ambiente e di un’eccessiva indulgenza nei confronti di chi devasta l’Amazzonia, quest’anno il governo Bolsonaro ha dovuto rispondere alle pressioni di grandi fondi finanziari globali, che si sono detti pronti a ritirare le proprie posizioni in attivi brasiliani se l’amministrazione non avesse fatto qualcosa per contrastare la deforestazione e gli incendi.
Almeno per ora, comunque, sembra che la moratoria imposta dal governo sia del tutto inutile: secondo Greenpeace, nel primo mese dopo l’emanazione del decreto sono stati registrati oltre 20mila focolai nel bioma amazzonico. «I dati mostrano che la strategia adottata dal governo federale non è efficace per contenere la distruzione della foresta più ricca del pianeta in termini di biodiversità», ha osservato la portavoce della campagna Amazon di Greenpeace, Cristiane Mazzetti.
«Proibire gli incendi sulla carta non funziona senza un controllo efficace da parte delle agenzie competenti», ha sottolineato Mazzetti. Come denuncia Greenpeace, infatti, se da una parte l’amministrazione Bolsonaro vieta che in Amazzonia vengano appiccati incendi, dall’altra sta di fatto contribuendo a rendere sempre più comune questa pratica con «la mancanza di ispezioni e lo smantellamento delle agenzie ambientali».
A preoccupare è anche l’impatto degli incendi in Amazzonia sulla salute, che quest’anno è ancora più grave perché causando malattie respiratorie influisce sulla crisi sanitaria generata dal Coronavirus rendendo le persone ancora più fragili ed esposte a rischi più gravi.